Giochi di società made in Lunardi
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Giochi-di-societa-made-in-Lunardi/1995958&ref=hpsp
di Paolo Biondani e Vittorio Malagutti
L'ex ministro cede la Stone al consigliere di Tanzi. Grazie agli appalti di Anas e Autostrade l'azienda aumenta di valore. E a questo punto viene venduta a un gruppo elvetico. Dove compare di nuovo il politico
Pietro Lunardi e Calisto TanziMentre era ministro, Pietro Lunardi era anche amministratore di una società d'ingegneria svizzera. Che in quegli stessi cinque anni ha ottenuto ricchi appalti dall'Anas, l'azienda di Stato guidata da un fedelissimo di Lunardi. È un doppio conflitto d'interessi che il ministro berlusconiano non aveva mai dichiarato. Un incrocio pericoloso tra affari e politica che nasce da una storia a due facce, in bilico tra Italia e Svizzera. Da una parte c'è Pietro Lunardi, l'ingegnere di Parma che è stato il responsabile delle Infrastrutture nel secondo governo Berlusconi (2001-2006). Dall'altra (o dalla stessa parte?) c'è Ettore Giugovaz, per gli amici Franco, un manager italo-ecuadoriano che per più di vent'anni è stato il primo, più fidato e riservato collaboratore di Calisto Tanzi, padre-padrone della Parmalat fino allo storico fallimento da 15,5 miliardi di euro. A cementare l'unione tra Lunardi e Giugovaz è la Stone, una società d'ingegneria che progetta gallerie stradali e ferroviarie. Questa ditta, che nel 2006 ha prodotto ricavi per oltre 14 milioni di euro (con utili netti per 1,2 milioni), è stata oggetto di un doppio passaggio azionario, prima e dopo il crack Parmalat. Tappa di partenza, l'unica finora conosciuta: la famiglia Lunardi nel 2002 cede il 95 per cento delle azioni a Giugovaz, all'epoca 'consulente personale' dell'ancora riveritissimo cavalier Tanzi. Ma ora si scopre che quel compratore è già uscito di scena, perché nel 2007 Giugovaz ha rivenduto il 95 per cento della Stone a un'impresa elvetica di progettazione, la MM Ingegneri consulenti. Da qui però, ed ecco la sorpresa, si fa presto a tornare a Lunardi. La MM Ingegneri e consulenti nasce infatti da una costola di un'altra società svizzera, la Marcionelli & Winkler, con cui condivide, tra l'altro, la sede a Lugano. Ebbene, dal 2000 al 2005 l'allora ministro delle Infrastrutture ha occupato anche la carica privata di consigliere d'amministrazione della Marcionelli & Winkler. E in quegli stessi anni, con Lunardi al ministero, l'azienda luganese ha conquistato sostanziosi appalti in Italia dall'Anas.
La doppia operazione sulla Stone documenta un incrocio finanziario, di portata imprevedibile, tra gli interessi personali dell'ingegnere berlusconiano e le fortune private di Giugovaz, un businessman internazionale che conosce molti misteri di Parma e della Parmalat. Nato a Venezia 68 anni fa, Giugovaz è stato per un quarto di secolo una specie di agente di Tanzi nelle missioni più delicate. Già nei primi anni '80, è lui a rappresentare la Bonatti, l'industria di costruzioni controllata da Calisto, in un Paese ad alto rischio come la Libia di Gheddafi. Nella seconda metà del decennio Giugovaz si trasferisce in Ecuador, per gestire appalti petroliferi della Bonatti. Nello stesso periodo diventa l'anello di collegamento tra il sistema Parmalat e il mondo Fininvest. Il ragionier Calisto arriva a richiamarlo dal Sudamerica per presenziare a una trattativa delicatissima: c'è da siglare nientemeno che un'alleanza televisiva fra Silvio Berlusconi e Tanzi (con la sua Odeon Tv). Di quel contratto preliminare, firmato personalmente dal Cavaliere di Arcore e da mister Parmalat a metà anni Ottanta, è proprio Giugovaz a conservare l'originale (ora in mano ai pm di Parma). Il patto segreto salta, secondo Giugovaz, solo perché Berlusconi si sente abbastanza forte di appoggi politici e bancari da andare avanti da solo. Per Tanzi invece l'avventura nell'etere si chiude con un passivo di 300 miliardi di lire, che sarà il primo mattone della futura bancarotta. Da allora Giugovaz occupa ininterrottamente la poltrona di consigliere d'amministrazione della Parmalat fino al 1997. E fino al 2001 è il gestore unico di alcune società controllate. Benché ormai stabilitosi in Ecuador, continua a intascare un lauto stipendio come "consulente personale del presidente Tanzi". E tra il 19 e il 26 dicembre 2003, quando il mondo scopre chela multinazionale italiana è solo una montagna di falsi in bilancio, chi si rivede in viaggio con Calisto? Chi lo accompagna in Ecuador in quella settimana cruciale che va dal crack all'arresto? Ancora Giugovaz. Passata la bufera, nel 2007 Giugovaz ha potuto patteggiare (due anni e due mesi coperti dall'indulto) l'accusa di concorso nella bancarotta di Collecchio. Ed è proprio in quei mesi di trattative legali sul caso Parmalat che si colloca la partita di ritorno dell'affare Stone.Questa società era stata fondata nel 1991 da Pietro Lunardi come una piccola srl con il minimo di capitale sociale: 20 milioni di lire. Nel 2001, quando Berlusconi lo nomina a sorpresa ministro, con tanto di superpoteri garantiti dall'apposita legge-obiettivo, a Parma le malelingue vociferano di una raccomandazione di Tanzi. L'unico fatto certo è che il futuro bancarottiere allora aveva ottimi rapporti con Berlusconi. Non a caso dal 1994 al 2001 la Parmalat ha dirottato pubblicità per decine di milioni di euro dalla Rai alla Fininvest. Dopo l'arresto, Tanzi arriverà a dichiarare che quel travaso di spot sarebbe stato il mezzo concordato con Berlusconi per finanziare occultamente Forza Italia. È in questo quadro di rapporti incrociati che s'inserisce la soluzione del primo conflitto d'interessi di Lunardi, quello visibile che riguarda la Stone. Accusato dalla stampa per il suo doppio ruolo di ministro pubblico e progettista privato, infatti, il 3 settembre 2001 Lunardi tenta di trarsi d'impaccio cedendo il 75 per cento della società a sua figlia Martina, che già controlla il restante 25. Ma la soluzione in famiglia non placa le critiche. A quel punto, il 16 gennaio 2002, arriva Giugovaz: è lui ad acquistare da Martina Lunardi il 95 per cento della Stone. L'affare tra il ministro e il consigliere personale di Tanzi diventa pubblico solo dopo il crack, nel gennaio 2004, conuno scandalizzato articolo del 'Financial Times'. Ma intanto la Stone vede crescere il suo giro di affari. Nel 2002 si trasforma in società per azioni e aumenta il capitale sociale a 350 mila euro. Nel 2006 il senatore diessino Massimo Brutti, in un'interrogazione, sostiene che la Stone, fra il 2001 e il 2004, avrebbe decuplicato il fatturato ottenendo una lunga serie di appalti e subappalti di opere inserite nella legge-obiettivo: decine di gallerie delle autostrade Adriatica, Parma-La Spezia, Grande raccordo anulare, tunnel ferroviari per l'alta velocità Torino-Milano-Venezia, due nuove metropolitane milanesi. La galleria Loreto dell'autostrada Asti-Cuneo, sempre secondo Brutti, sarebbe stata assegnata alla Stone direttamente dall'Anas. Sul conflitto d'interessi di Lunardi, per quanto se ne sa, ha indagato solo l'Antitrust, che ha assolto il ministro in un caso che peraltro riguardava i finanziamenti concessi dal governo tramite il Cipe.All'epoca la Stone, comunque, risultava di Giugovaz. Ma la svolta finale arriva nel gennaio 2007. Poche settimane prima della condanna per il crack Parmalat, Giugovaz cede il proprio 95 per cento alla MM Ingegneri e consulenti di Lugano, cioè a un'azienda appena nata, costituita solo a febbraio 2006. I registri del Canton Ticino informano che la MM, con un capitale di 400 mila franchi svizzeri, ha lo stesso oggetto sociale della sua controllata italiana ("Progettazione e direzione di opere stradali e ferroviarie", anche "sotterranee o idrauliche") ed è amministrata dall'ingegner Marco Marcionelli, partner della società di progettazione Marcionelli & Winkler di Bellinzona. In apparenza questa è un'azienda tutta straniera, se non fosse per quell'amico italiano, ingegnere e ministro al tempo stesso. Solo nel 2005, a cinque anni dalla prima nomina, Lunardi fa un passo indietro e si dimette dalla Marcionelli & Winkler.Strana ma vera, insomma, l'avventura societaria della Stone: dalla famiglia Lunardi ai soci svizzeri di Lunardi, passando per le tasche del custode dei segreti di Tanzi. Ma ancora più singolare è la lista degli appalti pubblici che la Marcionelli & Winkler, con precisione elvetica, elenca sul proprio sito Internet. Tra i contratti siglati in Italia tra il 2001 e il 2006, spiccano il nuovo viadotto Torre del Lago dell'autostrada Sestri-Livorno, il Ponte Cadore sulla statale 51 di Belluno e il viadotto Granaro sulla strada transcollinare Piceno-Aprutino. Tutti appalti banditi dall'Anas, l'azienda di Stato allora guidata da Vincenzo Pozzi, un fedelissimo di Lunardi. Chissà se qualcuno, all'interno dell'Anas, ha mai sospettato che tra gli amministratori di quella società svizzera c'era anche il ministro in carica. E chissà cosa o chi ha spinto l'impresa elvetica a scendere in Italia per comprarsi proprio la Stone da Giugovaz, già condannato per Parmalat.
(28 febbraio 2008)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Giochi-di-societa-made-in-Lunardi/1995958&ref=hpsp
"I swear to God, if I were a piano player or an actor or something and all those dopes thought I was terrific, I'd hate it. I wouldn't even want them to clap for me. People always clap for the wrong things". "(Holden Caulfield/JDSalinger - The catcher in the rye)
Friday, February 29, 2008
Sunday, February 24, 2008
Raffaele Lombardo - Movimento autonomie e USL - ASL - Ecco il candidato ideale della destra in Sicilia - con la benedizione di Cuffaro
In fondo Raffaele Lombardo farebbe più notizia se non esistesse affatto. Tanto la sua figura politica, contrariamente al clamore che ha sollevato, appare scontata e priva di novità. Lombardo è infatti un democristiano, ha una sua corrente e un sacco di clientele, eccelle nel fare la guerra ai suoi compagni di partito e di coalizione, vive per il potere, ha avuto problemi con la giustizia, si professa autonomista come molti siciliani e tanto per non smentirsi, si pettina con il riporto. Che c’è di nuovo in uno così? Vale la pena occuparsi di lui solo perché conferma come la politica nel tempo del berlusconismo sia ormai il luogo ideale per nascondersi o trovare un alibi. Una fiction in cui tutto o quasi è fasullo, pretestuoso e strumentale e dove la moneta cattiva scaccia quella buona. Un vialone notturno e di periferia pieno di trans, un palcoscenico per maschere morte che serve solo a nascondere l’avidità di potere e il cinismo irresponsabile. La bufala più grossa che Lombardo, insieme al suo compagno di avventura Totò Cuffaro, cerca di rifilarci è che il suo Mpa, il Movimento per l’autonomia, sia una spina nel fianco del berlusconismo. In realtà Lombardo per il Cavaliere è stata una vera e propria grazia di Dio («l’avrei voluto ministro della Salute ma lui ha detto di no», ha civettato il premier) perché ora si trova nell’isola come presunto interlocutore forte un politico che finge di porgli condizioni e in realtà si limita a chiedere cose già presenti nel programma della Casa delle libertà sulle quali Berlusconi è perfettamente d’accordo, come il rilancio del turismo, le infrastrutture e il ponte sullo Stretto («l’era del ponte», ha enfaticamente dichiarato Lombardo). Perché l’operazione Lombardo è solo l’ennesimo sortilegio trasformistico della politica meridionale: una volta capito che con Berlusconi si perde, gli intramontabili democristianoni Lombardo & Cuffaro si sono inventati un partitino fata Morgana per accalappiare i voti in libera uscita dal centrodestra, mentre ora stanno raccogliendo nell’isola i resti di quelle formazioni localistiche che con lo sbarramento del 5 per cento non entreranno in Consiglio regionale. Il tutto però senza perdere i contatti con il magnate di Palazzo Chigi che bene o male controlla ancora i cordoni della borsa pubblica. Per il Cavaliere, Lombardo è come il cacio sui maccheroni: l’obiettivo polemico dello psichiatra catanese è il segretario del suo partito, ovvero Marco Follini, detestatissimo da Berlusconi. La vera colpa di Follini è di non averlo fatto diventare ministro della Salute o del Mezzogiorno la scorsa estate, quando il titubante Harry Potter stava meditando se uscire o meno dal governo con i suoi ministri. È in quell’occasione infatti che Lombardo rompe gli indugi e dopo essere tornato a Catania con il bell’abito blu da ministro mestamente incellofanato, decide di marciare contro Roma. Ecco come nasce il nobile neoautonomismo siciliano: da una poltrona negata. L’altra bufala che Lombardo è riuscito a rifilarci è che abbia stravinto le comunali di Catania. In realtà rispetto a cinque anni fa ha perso voti: nel 2000 le sue due liste, quella del Ccd e «Catania Viva», ne hanno presi 19.529, mentre lo scorso 15 maggio Lombardo, con quattro liste, ne ha raccolti 16.231, 3.298 in meno, mentre il centrodestra ha perso il 7 per cento a vantaggio del centrosinistra. Inoltre la Giunta Scapagnini alla prima vera prova politica, la nomina degli assessori, si è persa per strada Alleanza nazionale, che ha rifiutato sdegnosamente i due assessorati che il sindaco le ha offerto (ne voleva tre) scegliendo l’appoggio esterno, mentre il vorace caimano autonomista ha spalancato le fauci e si è pappato quattro poltrone, una per lista. Come inizio non c’è male. Ideali chiari. Un’altra balla di Lombardo è che il Movimento per l’autonomia siciliana (Mpa) sia nato sulla spinta di una nobile idealità, una progettualità «alta». In realtà che l’Mpa sia sbocciato in fretta e furia lo provano i continui rabberciamenti programmatici: Lombardo ha inizialmente parlato di un partito regionale, poi di un partito regionalistico a valenza nazionale che doveva coinvolgere gli inconsapevoli Formigoni e Fitto (che hanno smentito), poi di una sorta di Lega del Sud, quindi di una semplice corrente e infine si è inventato il paragone con la Csu bavarese che si federa con il partito nazionale. Da qualche settimana ha iniziato a orbitare con circospezione intorno alla nuova Dc di Rotondi, Cutrufo e Pomicino, il quale il 25 giugno scorso, durante la prima assemblea costituente all’Hotel Summit di Roma, ha paragonato Mani pulite al fascismo. Pomicino & Co. ora reclamano più Stato nell’economia e il ritorno al proporzionale, premessa per una nuova politica democratica, dice lui, in realtà corollario indispensabile di un voto controllato e dunque clientelare. Comprensibile che uno come Lombardo si trovi bene in questa compagnia. Ma per non dare l’impressione che lui, l’autonomista, ha già deciso senza nemmeno sentire i suoi, solo a settembre sapremo se Mpa si federa con la nuova Dc e per ora si è accontentato di aggiungere al glorioso scudo crociato, la dicitura «Per le autonomie». Una cosa tuttavia per ora sembra certa: don Raffaele resta ancorato al centrodestra e, dopo aver dimostrato che l’Udc in Sicilia è lui, vorrebbe convincere Berlusconi a non continuare a pensare solo a iddu. Che Sua Emittenza gradisca il duo Lombardo/Cuffaro lo si capisce anche dalla nomina avvenuta il 23 aprile di Francesco Saverio Romano a sottosegretario al Welfare. A Romano, Udc siculo e fedelissimo di Totò vasa vasa, i giudici di Palermo hanno recentemente archiviato l’accusa di concorso in associazione mafiosa ed estorsione. Secondo il pubblico ministero, Romano aveva chiesto telefonicamente a un altro imputato dell’Udc, Domenico Miceli, un incontro con il medico Giuseppe Guttadauro, boss mafioso del quartiere palermitano di Brancaccio, ma non è stato possibile provare se poi l’incontro ci fosse stato davvero. D’altra parte Berlusconi ha sempre avuto un occhio di riguardo per le proteste pseudoautonomiste siciliane. Basti pensare a Sicilia libera, il partito che Leoluca Bagarella cerca di fondare nel 1993 con il consenso di suo cognato Totò Riina, affidando l’incarico all’uomo d’onore Tullio Cannella. Il partito viene presentato a Catania nel novembre dello stesso anno da Nino Strano, attuale parlamentare di An, che spara ad alzo zero contro il consociativismo romano e la corruzione, ispirandosi anche lui a Bossi. È proprio Berlusconi che nel 1994 incarica il dirigente di Publitalia in Sicilia, Gianfranco Miccichè, di prendere contatti con Sicilia libera, come lo stesso Miccichè ha raccontato ai giudici del processo Dell’Utri. Poi però l’exploit di Forza Italia segna la fine del partito perché Cosa nostra, come ha raccontato Cannella divenuto collaboratore di giustizia, sceglie di abbandonare Sicilia libera che a Catania aveva appena avuto un ottimo risultato, preferendo appoggiare gli azzurri. Ora Lombardo e Cuffaro, dopo aver attaccato per anni proprio Forza Italia, vagheggiano di fondare insieme al viceministro Miccichè il partito Forza Sicilia. La verità è che il federalismo e il supposto autonomismo dell’Mpa altro non sono che un espediente per rifarsi una verginità e che il vero ideale di Lombardo e Cuffaro è la convinzione, tutta democristiana, che solo la gestione del potere consenta di conservarlo nelle proprie mani. Insomma il potere per il potere. L’unica differenza è che adesso ci tocca sentire Lombardo che scimmiotta l’antipolitica nordista e borbotta a Vespa che «la gente è stufa del teatrino della politica»! (Panorama, 26 maggio 2005). Peccato che una volta andati al potere, i neo Dc ci facciano assistere proprio al solito teatrino al quale siamo stati abituati da mamma Dc: come nell’ultima campagna elettorale etnea, quando la Giunta Scapagnini, per illustrare agli elettori le opere realizzate dalla Giunta, utilizza parte dei generosi finanziamenti concessi da Berlusconi per l’emergenza traffico, sfruttando un articolo della legge opportunamente e non certo disinteressatamente predisposto ad hoc. Una campagna elettorale che ha sollevato parecchi dubbi sulla liceità dei mezzi utilizzati dal centrodestra, tanto che il pubblico ministero catanese Ignazio Fonzo ha aperto un fascicolo giudiziario per voto di scambio. O come quando avvicinandosi le elezioni catanesi, il 2 aprile scorso Lombardo incontra 524 precari e promette loro la stabilizzazione in un ente pubblico della Provincia entro il 30 settembre del 2005 (controlleremo); o come quando nove giorni dopo, insieme a Scapagnini, posa la prima pietra del più grande mercato alimentare del Sud Italia, un’opera da 60 milioni di euro che sarà completata nel 2008 (controlleremo anche questo); o come quando il 16 aprile del 2004, avvicinandosi le elezioni europee, Lombardo se ne esce con i duemila futuri posti di lavoro del centro commerciale Etneapolis. Solidarietà agli amici inquisiti. Quando gli amici democristiani vengono raggiunti da avvisi di garanzia o arrestati in prossimità di elezioni, Lombardo è il primo a parlare di «tempistica sospetta», elargendo poi la sua solidarietà ai molti inquisiti per mafia del suo partito, come Mannino, Borzacchelli, Lo Giudice, Costa ecc. D’altra parte non si ricorda che Lombardo abbia mai espulso dal partito di cui era segretario regionale, l’Udc e prima ancora la Dc, qualche iscritto condannato per mafia. Eppure avrebbe avuto solo l’imbarazzo della scelta. Non meravigli dunque che Lombardo abbia già cominciato a imbarcare nel suo Mpa persone che hanno o hanno avuto qualche grana con la giustizia, come l’ex primo cittadino di Agrigento Roberto Di Mauro, detto «il sindaco degli abusivi», condannato in primo grado nel 2003 a due anni di carcere per truffa, abuso d’ufficio e falso e salvatosi con la prescrizione nel processo per gli abusi edilizi nella Valle dei Templi. O come il consigliere regionale pugliese ex Forza Italia, Simone Brizio, coinvolto nel 2002 con suo padre in una storia di tangenti alla Asl di Taranto. O come l’altro neo adepto, Angelo Paffumi, ex Dc, arrestato per una storia di tangenti nel 1996 quando era sindaco di un paese del messinese. Don Raffaele preferisce infatti aspettare che il tempo, galantuomo, faccia giustizia. Come è accaduto a lui. Arrestato la prima volta il 22 aprile del 1992 e condannato il 5 novembre del 1998 dal Tribunale di Catania a un anno e sei mesi di reclusione per abuso d’ufficio. Secondo i giudici la sua segreteria politica aveva rivelato in anticipo ai candidati risultati poi vincitori i temi di un concorso della Usl 35 di Catania. In quel periodo Lombardo era assessore regionale Dc agli Enti locali e partecipava egli stesso a un concorso per 13 posti di assistente medico bandito sempre dalla Usl 35. Dalle intercettazioni del processo, risultò come secondo i giudici «Giuseppe Salmeri, primario dell’ospedale Biancavilla (membro del Comitato dei garanti della Usl 35, ndr), e Lombardo erano uniti da enormi interessi in concorsi e pratiche di enti pubblici».Una passione, quella per i medici e le strutture sanitarie pubbliche, che ha accompagnato lo psichiatra forense Lombardo per tutta la sua carriera politica. Ma dopo la condanna in primo grado, Lombardo fu definitivamente assolto. La seconda volta è stato arrestato il 23 luglio del 1994 con l’accusa di corruzione, insieme a tre big della politica siciliana di quegli anni: l’ex presidente democristiano della Regione Siciliana Rino Nicolosi, l’ex ministro socialista della Difesa Salvo Andò e l’ex deputato nazionale della Dc, Antonino Drago, leader degli andreottiani della Sicilia orientale. Tutti gli arrestati, secondo i magistrati, avevano fatto ottenere all’ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini un appalto pubblico da 48 miliardi di lire per la fornitura di pasti all’ospedale Vittorio Emanuele di Catania, in cambio di tangenti per cinque miliardi di lire. Lombardo inoltre era accusato dai giudici anche di associazione per delinquere, facendo parte, insieme ai tre big politici, di un comitato d’affari che gestiva la Usl 35. Il 17 marzo del 2000 Pellegrini ha patteggiato una condanna a due anni di carcere per corruzione, ma Lombardo e tutti gli altri sono stati assolti dalla stessa accusa perché, secondo i giudici catanesi, i cinque miliardi che l’ex presidente dell’Inter ha pagato non erano tangenti ma finanziamento illecito dei partiti, un reato ormai prescritto. Lombardo e gli altri sono stati poi assolti anche dall’accusa di associazione a delinquere. Per i giudici catanesi il comitato d’affari non era mai esistito. Un carico di cariche. Un’altra caratteristica che lo lega alla democristianeria è che Lombardo passa il suo tempo a fare rimpasti anziché governare: nominato presidente della provincia regionale di Catania nel luglio 2003, nel marzo successivo già redistribuisce 14 nuove deleghe, mentre il 16 aprile imbarca quattro nuovi assessori e il 6 agosto dello stesso anno ancora altri due. La verità è che Lombardo è il continuatore di tutti gli atavici difettacci della politica siciliana e il suo Mpa è un escamotage gattopardesco per continuare con il solito malgoverno: avete mai sentito Lombardo tuonare contro i fastosi sprechi della Regione siciliana, contro il deficit della Sanità per esempio, cresciuto del 43 per cento in quattro anni di governo del suo amico Cuffaro? Una Sanità con il record europeo di strutture private convenzionate, oltre 2.500. Opportunismo, ambiguità e ipocrisia continuano infatti a essere le costanti della politica dei neodemocristiani: Lombardo, dapprima ha consolidato una straordinaria e ben amministrata rete di clientele grazie all’Udc, è stato eletto segretario regionale, consigliere e assessore regionale, vicesindaco, deputato europeo, presidente della Provincia, presidente dell’Unione delle province regionali siciliane e poi, una volta fatto il pieno di voti e clientele, si è liberato del vessatorio giogo romano scoprendosi autonomista e federalista. Senza però avere la decenza di dimettersi dalle cariche ottenute grazie al suo ex partito. Perché prima di reinventarsi autonomista a nome e per conto dell’Udc, Lombardo ha ottenuto il controllo di tutta la Sanità siciliana; ha fatto nominare parecchi manager delle Asl; ha dettato al suo sodale Totò Cuffaro la nomina dell’assessore regionale alla Sanità e di quello dei Lavori pubblici; ha deciso i nomi di diversi direttori generali della Regione siciliana, dei commissari dei consorzi di bonifica, dei vertici di Sicilia acque e dell’Ato rifiuti, dei vertici della Fondazione Banco di Sicilia, degli assessori provinciali e comunali di Catania, delle aziende partecipate del Comune di Catania, degli istituti autonomi delle case popolari, delle cooperative e della Protezione civile. E poi come se niente fosse si è messo a rinverdire i miti del passato autonomista: «La Sicilia, da Gaio Verre in poi si lascia impunemente saccheggiare di tutto: dal grano, alla foresta fino al consenso e alla rappresentanza politica» (Ansa, 6 marzo 2005). Contro quello stesso partito romano, l’Udc, con il quale in realtà condivide i pochi sparuti progetti di fondo: rifare la Dc, cambiare in senso proporzionale il sistema elettorale e aumentare l’influenza del Sud nella politica italiana. Come? Rispolverando gli argomenti dell’autonomismo separatista di Finocchiaro Aprile (personaggio di livello nettamente superiore a Lombardo) che nel dopoguerra reclamava per la Sicilia privilegi fiscali e «zone industriali franche», esattamente come Lombardo, che chiede a Berlusconi la cosiddetta fiscalità di vantaggio o la defiscalizzazione della benzina. Con la differenza che Lombardo butta alle ortiche l’aspetto marcatamente liberale e antiprotezionistico, oltreché antifascista, che quel movimento aveva e rispolvera quell’eterno «milazzismo» presente nella politica siciliana e meridionale, ammalate di trasversalismo.Dal duo Lombardo-Cuffaro aspettatevi pure qualche tentativo di alleanza con il centrosinistra, soprattutto adesso che è dato vincente. Basti pensare che il 27 maggio, Lombardo e il suo fedele seguace Giovanni Pistorio, assessore regionale alla Sanità, hanno tenuto a San Giovanni La Punta due comizi, Lombardo con il centrodestra, Pistorio con il centrosinistra. E Lombardo non ha disdegnato un incontro con Piero Fassino, accompagnato dal segretario regionale dei Ds Angelo Capodicasa. Non si sa mai alle politiche dovesse vincere il centrosinistra… Quanto sia credibile poi la lotta contro il centralismo romano di uno come Lombardo, lo prova la gestione padronale, autoritaria e solitaria che ha sempre fatto del partito in Sicilia, da tempo oggetto di critiche da parte della corrente dei cosiddetti quarantenni isolani dell’Udc. Lo scorso anno Lombardo ha lanciato un anatema politico contro quattro liste civiche nate da una costola dell’Udc di Caltanissetta per le elezioni comunali, proprio lui che un anno dopo a Catania metterà insieme quattro liste civiche contro il suo stesso partito, utilizzando le clientele sviluppate nella sanità e nel facilmente manipolabile precariato catanese. D’altronde chi lo conosce bene, come il deputato nazionale dell’Udc Filippo Drago, dice di lui: «Lombardo è l’artefice della ricostruzione del peggiore sistema clientelare» (Ansa, 3 marzo 2005). E se lo dice Drago…
http://www.diario.it/home_diario.php?page=cn05072211
Raffaele Lombardo - movimento autonomie - Cuffaro - USL- ASL -concorsi truccati - Sicilia
http://www.diario.it/home_diario.php?page=cn05072211
Raffaele Lombardo - movimento autonomie - Cuffaro - USL- ASL -concorsi truccati - Sicilia
Saturday, February 23, 2008
Mondragone - Landolfi - Chianese - Capacchione - AN - Chi voteranno a Mondragone?
ROSARIA CAPACCHIONE Una banda. Una struttura stabile che sfruttava leggi, fame di lavoro, finanziamenti pubblici. E il potere politico e istituzionale, quello personale e quello derivato dall’appartenenza all’entourage del ministro. Grazie al nome di famiglia e al rango di segretari particolari di Mario Landolfi, hanno truffato Regione, Stato e Unione europea incassando in proprio i fondi destinati alla formazione professionale e ai contratti di formazione-lavoro. Oltre cinquecentomila euro, riscossi o ipotecati, transitati sui conti di un mobilificio e di un bar e finiti nelle tasche della famiglia Chianese: zio, nipoti, mogli, segretarie. Gli avvisi di garanzia e le perquisizioni portano la data del maggio 2006. All’alba di ieri l’epilogo della vicenda giudiziaria: sei arresti, due obblighi di dimora. Sono stati i carabinieri della compagnia di Mondragone a notificare le ordinanze cautelari (con concessione degli arresti domiciliari) a Cosimo Chianese, 45 anni, capo della segreteria particolare dell’allora ministro delle Comunicazioni Mario Landolfi; a Raffaele Chianese, 40 anni, responsabile della segreteria mondragonese del parlamentare di An, ex vicesindaco e superassessore comunale, già coinvolto nelle inchieste della Dda sul consorzio Ce4; a Luca Chianese, 35 anni, fratello di Raffaele e nipote di Cosimo; a Enza Ceraso, 41 anni, moglie di Raffaele Chianese e vigile urbano a Mondragone; a Renato Verrengia, 39 anni, avvocato civilista specializzato in risarcimenti per incidenti stradali; a Giovanni Ranieri, 46 anni, di Pozzuoli, titolare della Gest.In., società accreditata presso la Regione Campania per i corsi di formazione del progetto Aifa. Obbligo di dimora per Elvira Verrengia, 44 anni, sorella dell’avvocato; e per Cinzia Moscatiello, 32 anni, segretaria di Raffaele Chianese. Rispondono tutti di associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e dell’Unione europea. L’inchiesta - coordinata dal pm Silvio Guarriello - era partita nella primavera del 2006, quando ai carabinieri erano giunti alcuni esposti che segnalavano la promessa di posti di lavoro alle Poste in cambio di voti (era in corso la campagna elettorale per le amministrative). L’attività d’indagine - intercettazioni telefoniche e dichiarazioni testimoniali - ha consentito di scoprire «una stabile macchina truffaldina», come l’ha definita il gip Raffaele Piccirillo nell’ordinanza cautelare, «messa in campo per il perseguimento degli obiettivi di illecito arricchimento a scapito delle pubbliche risorse». Nelle trenta pagine che compongono l’atto di accusa, vengono documentate «la rete di relazioni politiche trasversali, gli strumenti e i rapporti professionali» e la «spregiudicatezza delle relazioni allacciate con le burocrazie regionali e con i soggetti preposti al controllo dell’effettività dei corsi di formazione e delle assunzioni». Corsi fasulli, svolti solo sulla carta: falsi i tutor, falsi gli allievi, falsi i fogli di presenza, falsi i contratti di lavoro, di cui erano nominalmente beneficiari la colf e la baby-sitter di Raffaele Chianese o disoccupati che nulla sapevano e che mai hanno incassato contributi e stipendi. Il giudice Piccirillo fa espresso riferimento alla «rete di contatti familiari sfruttata nelle fasi del reclutamento degli attori da far recitare nella messinscena dei corsi fantasma e della simulazione dei pagamenti mai avvenuti» e censura «l’approfittamento sistematico e spregiudicato delle condizioni di precarietà economica e di frustrazione professionale dei giovani coinvolti nella pantomima». Perché di recita si trattava, come qualcuno degli indagati - come Gianni Ranieri - ha ammesso durante gli interrogatori fatti nel corso delle indagini. I contributi risultano incassati dal mobilificio Chianese e dal bar Augusto, che avevano fittiziamente assunto gli «allievi» da formare. In realtà, come ha dimostrato la documentazione bancaria, sono finiti direttamente nelle casse di famiglia. E gli assegni riscossi dai «corsisti»? Quelli ci sono, ma si tratta di tutt’altro, e cioè delle somme liquidate dalle assicurazioni per incidenti stradali e transitati per lo studio Verrengia, terminale della truffa. Ma questa è un’altra storia.
Il clan di persone legate a Mario Landolfi è finito in carcere. L’accusa per tutti è quella di aver truffato lo Stato. Con la copertura dell’attuale presidente della commissione di Vigilanza Rai. In esclusiva le intercettazioni che li incastranodi Sergio Nazzaro da Caserta Ealla fine hanno arrestato tutti gli amici di Mario. In una terra affamata di lavoro, avevano creato quattro diverse società paravento per ottenere i finanziamenti destinati ai corsi di formazione. Cosimo Chianese, ex segretario di Mario Landolfi, e Raffaele Chianese, vice sindaco di Mondragone e capo segreteria, finiscono in manette per truffa. Il bottino è di qualche centinaio di migliaia di euro. Intanto la Dda di Napoli indaga sulla gestione dei rifiuti e i fratelli Orsi chiamano in causa, ancora una volta, Raffaele Chianese e l’onorevole Mario Landolfi, attuale presidente della commissione di Vigilanza Rai ed ex ministro per le Poste e Telecomunicazioni nel secondo governo Berlusconi. Mario Landolfi intanto discetta imperturbabile delle intercettazioni Saccà. Tutti i suoi uomini sono stati arrestati, ma lui non ha nulla da aggiungere. Forse la notizia non passa per davvero. Percorrendo la Domiziana, fino a qualche tempo fa incuriosivano i camion targati Chianese-Poste Italiane. Quel quesito oggi trova una risposta. La Chianese Trasporti srl aveva ottenuto, senza averne i requisiti, un contratto di trasporto sulla tratta Bologna-Bari. Nell’ordinanza che ha portato agli arresti i Chianese, spuntano i nomi di Franco Casucci, amministratore delegato di Poste italiane trasporti spa, e Fabrizio Penna, presidente del consiglio d’amministrazione di Poste italiane spa. Fabrizio Penna era stato collaboratore di Mario Landolfi, come caposegreteria del ministero delle Telecomunicazioni. Come sia arrivato nel consiglio d’amministrazione di Poste italiane trasporti non è un mistero: fu nominato da Mario nell’ultima settimana di gennaio 2005 e ottenne l’incarico nel giugno dello stesso anno. Nelle carte che hanno portato agli arresti domiciliari i Chianese, si leggono molte promesse di assunzione nelle poste, in cambio di voti. Il che rende meno difficile capire come mai una lettera arriva in ritardo, o perchè facciamo lunghe fila alla posta. Chissà la gioia dei lavoratori onesti delle poste che se lo guadagnano ogni giorno il pane. Nelle intercettazioni disposte dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, ora in possesso di left, Chianese a un certo punto si lamentano addirittura di essersi dedicati troppo a Landolfi: «’sta questione dell’Aifa (Accordo di inserimento formativo per l’assuzione ndr.) no, riflettendoci ieri, anche questo è un danno che ci ha fatto Mario (…) eh, perché alla fine nasce tutto dal fatto che noi dal mese di marzo, abbiamo trascurato tutto e’ ammo pensato a fa chello…perché se noi dal mese di marzo anziché ‘sta apresso a Mario c’avessimo seguito le cose nostre come abbiamo fatto, noi non è che aspettavamo che a dicembre veniva chilo a chiederce ‘e cart’ a noi (…) cioè se l’avessero liquidato prima, noi avremmo già i soldi in tasca e non correremmo il rischio di perdere tutto. Invece, ovviamente, avendo trascurato e avendo aspettato che veniva chillo da noi e avendolo fatto solo quando siamo stati messi alle strette e non quando lo avremmo fatto in una situazione diversa, è un altro danno che ci ha fatto Mario…». È una storia surreale quella dei Chianese, che facevano affari e truffavano lo Stato, forti delle connessioni politiche. A Mondragone prima c’erano i La Torre, poi i Frugnoli, poi piccoli gruppi criminali. Ora finalmente la magistratura e i carabinieri lavorano e c’è un “vuoto” criminale. Ma non è lo Stato a riempirlo. E comunque non i suoi pezzi migliori. È in tale assenza, che permetterebbe la rinascita di questa terra, che il gruppo di persone legate tra loro da vincoli di parentela, giocava con la politica e la cosa pubblica, appropriandosene.Neanche veri camorristi, ma personaggi qualunque che con arroganza indicibile derubavano la comunità. Falsificando bilanci, carte d’identità, libri contabili, libri matricole. Ne emerge una figura come quella del vicesindaco, che sembra passare tutto il suo tempo a falsificare, invece che a lavorare per il “bene comune”. E tutto per qualche centinaio di migliaia di euro. Ancora più inquietante forse, il fatto che nessuno reagisca nella società civile. È nota la vicenda di Cosimo Chianese, che telefona con il cellulare del ministero per “autoricaricare” i parenti. In un’altra intercettazione Cosimo Chianese e Renato Verrengia, avvocato esperto di sinistri, discutono di quanto dare a uno dei figuranti nei corsi di formazione fantasma: Renato Verrengia: «Va buò, senti mia sorella voleva sapere quanto deve dare di contributo a Trano».Raffaele Chianese: «Eh, almeno 500 euro ce l’addà dà».RV: «Lei aveva pensato a 50 euro».RC: «No, ahe, o’cazzo!... almeno 500!».Su tutto veglia il buon Mario Landolfi, che manda in crisi amministrativa il comune di Mondragone per un anno, dopo l’avviso di garanzia a Raffaele Chianese, per reinserirlo come assessore, anche sfasciando il centrodestra cittadino, nella giunta del sindaco di Mondragone Ugo Conte che cerca di opporsi. Ugo Conte, a sua volta indagato con Mario Landolfi per “concorso esterno in associazione camorristica, estorsione e corruzione di pubblico ufficiale, aggravate dalla finalità camorristica, e truffa ai danni dello Stato”, insieme a Giuseppe Valente, e i fratelli Orsi, quelli della spazzatura. Il sostituto procuratore della Dda di Napoli, Alessandro Milita, ha definito il contesto come: «Un patto scellerato fra camorra e politica, garanti a vicenda per la loro stessa sopravvivenza, che si autoalimentava con il sostegno di operazioni legate al settore dei rifiuti». Qualcuno si domanda dove sia il confine politica-camorra. La verità è che la politica non c’è mai stata. Eppure pochi sanno che Mario Landolfi, nel suo passato, è stato anche nel mirino dei clan. Il giovane Mario è cresciuto ai tempi della Dc, in un paese del Sud. Intelligente, onesto, disturbava come poteva il comune di Mondragone. In un paese del Sud gli onesti sono troppo pochi per mettersi a fare battaglie politiche di merito. Servono forze per una sola lotta: quella della legalità. E così Landolfi te lo ritrovavi anche come compagno di avventura. E finì sui giornali per un’alleanza ben strana: Verdi-Destra. Altri tempi, quelli in cui Landolfi non era simpatico al clan. Si opponeva. Poi tutto è cambiato, come a confermare che il potere al Sud deve essere sempre inquinato.Sostenere oggi che non si sapeva è assurdo. Come affermare di non sapere cosa facessero parenti e collaboratori. Alla fine di questa storia rimane solo questa terra ferita. E il sogno che qualcuno, finalmente, si dimetta. 18 gennaio 2008
Il clan di persone legate a Mario Landolfi è finito in carcere. L’accusa per tutti è quella di aver truffato lo Stato. Con la copertura dell’attuale presidente della commissione di Vigilanza Rai. In esclusiva le intercettazioni che li incastranodi Sergio Nazzaro da Caserta Ealla fine hanno arrestato tutti gli amici di Mario. In una terra affamata di lavoro, avevano creato quattro diverse società paravento per ottenere i finanziamenti destinati ai corsi di formazione. Cosimo Chianese, ex segretario di Mario Landolfi, e Raffaele Chianese, vice sindaco di Mondragone e capo segreteria, finiscono in manette per truffa. Il bottino è di qualche centinaio di migliaia di euro. Intanto la Dda di Napoli indaga sulla gestione dei rifiuti e i fratelli Orsi chiamano in causa, ancora una volta, Raffaele Chianese e l’onorevole Mario Landolfi, attuale presidente della commissione di Vigilanza Rai ed ex ministro per le Poste e Telecomunicazioni nel secondo governo Berlusconi. Mario Landolfi intanto discetta imperturbabile delle intercettazioni Saccà. Tutti i suoi uomini sono stati arrestati, ma lui non ha nulla da aggiungere. Forse la notizia non passa per davvero. Percorrendo la Domiziana, fino a qualche tempo fa incuriosivano i camion targati Chianese-Poste Italiane. Quel quesito oggi trova una risposta. La Chianese Trasporti srl aveva ottenuto, senza averne i requisiti, un contratto di trasporto sulla tratta Bologna-Bari. Nell’ordinanza che ha portato agli arresti i Chianese, spuntano i nomi di Franco Casucci, amministratore delegato di Poste italiane trasporti spa, e Fabrizio Penna, presidente del consiglio d’amministrazione di Poste italiane spa. Fabrizio Penna era stato collaboratore di Mario Landolfi, come caposegreteria del ministero delle Telecomunicazioni. Come sia arrivato nel consiglio d’amministrazione di Poste italiane trasporti non è un mistero: fu nominato da Mario nell’ultima settimana di gennaio 2005 e ottenne l’incarico nel giugno dello stesso anno. Nelle carte che hanno portato agli arresti domiciliari i Chianese, si leggono molte promesse di assunzione nelle poste, in cambio di voti. Il che rende meno difficile capire come mai una lettera arriva in ritardo, o perchè facciamo lunghe fila alla posta. Chissà la gioia dei lavoratori onesti delle poste che se lo guadagnano ogni giorno il pane. Nelle intercettazioni disposte dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, ora in possesso di left, Chianese a un certo punto si lamentano addirittura di essersi dedicati troppo a Landolfi: «’sta questione dell’Aifa (Accordo di inserimento formativo per l’assuzione ndr.) no, riflettendoci ieri, anche questo è un danno che ci ha fatto Mario (…) eh, perché alla fine nasce tutto dal fatto che noi dal mese di marzo, abbiamo trascurato tutto e’ ammo pensato a fa chello…perché se noi dal mese di marzo anziché ‘sta apresso a Mario c’avessimo seguito le cose nostre come abbiamo fatto, noi non è che aspettavamo che a dicembre veniva chilo a chiederce ‘e cart’ a noi (…) cioè se l’avessero liquidato prima, noi avremmo già i soldi in tasca e non correremmo il rischio di perdere tutto. Invece, ovviamente, avendo trascurato e avendo aspettato che veniva chillo da noi e avendolo fatto solo quando siamo stati messi alle strette e non quando lo avremmo fatto in una situazione diversa, è un altro danno che ci ha fatto Mario…». È una storia surreale quella dei Chianese, che facevano affari e truffavano lo Stato, forti delle connessioni politiche. A Mondragone prima c’erano i La Torre, poi i Frugnoli, poi piccoli gruppi criminali. Ora finalmente la magistratura e i carabinieri lavorano e c’è un “vuoto” criminale. Ma non è lo Stato a riempirlo. E comunque non i suoi pezzi migliori. È in tale assenza, che permetterebbe la rinascita di questa terra, che il gruppo di persone legate tra loro da vincoli di parentela, giocava con la politica e la cosa pubblica, appropriandosene.Neanche veri camorristi, ma personaggi qualunque che con arroganza indicibile derubavano la comunità. Falsificando bilanci, carte d’identità, libri contabili, libri matricole. Ne emerge una figura come quella del vicesindaco, che sembra passare tutto il suo tempo a falsificare, invece che a lavorare per il “bene comune”. E tutto per qualche centinaio di migliaia di euro. Ancora più inquietante forse, il fatto che nessuno reagisca nella società civile. È nota la vicenda di Cosimo Chianese, che telefona con il cellulare del ministero per “autoricaricare” i parenti. In un’altra intercettazione Cosimo Chianese e Renato Verrengia, avvocato esperto di sinistri, discutono di quanto dare a uno dei figuranti nei corsi di formazione fantasma: Renato Verrengia: «Va buò, senti mia sorella voleva sapere quanto deve dare di contributo a Trano».Raffaele Chianese: «Eh, almeno 500 euro ce l’addà dà».RV: «Lei aveva pensato a 50 euro».RC: «No, ahe, o’cazzo!... almeno 500!».Su tutto veglia il buon Mario Landolfi, che manda in crisi amministrativa il comune di Mondragone per un anno, dopo l’avviso di garanzia a Raffaele Chianese, per reinserirlo come assessore, anche sfasciando il centrodestra cittadino, nella giunta del sindaco di Mondragone Ugo Conte che cerca di opporsi. Ugo Conte, a sua volta indagato con Mario Landolfi per “concorso esterno in associazione camorristica, estorsione e corruzione di pubblico ufficiale, aggravate dalla finalità camorristica, e truffa ai danni dello Stato”, insieme a Giuseppe Valente, e i fratelli Orsi, quelli della spazzatura. Il sostituto procuratore della Dda di Napoli, Alessandro Milita, ha definito il contesto come: «Un patto scellerato fra camorra e politica, garanti a vicenda per la loro stessa sopravvivenza, che si autoalimentava con il sostegno di operazioni legate al settore dei rifiuti». Qualcuno si domanda dove sia il confine politica-camorra. La verità è che la politica non c’è mai stata. Eppure pochi sanno che Mario Landolfi, nel suo passato, è stato anche nel mirino dei clan. Il giovane Mario è cresciuto ai tempi della Dc, in un paese del Sud. Intelligente, onesto, disturbava come poteva il comune di Mondragone. In un paese del Sud gli onesti sono troppo pochi per mettersi a fare battaglie politiche di merito. Servono forze per una sola lotta: quella della legalità. E così Landolfi te lo ritrovavi anche come compagno di avventura. E finì sui giornali per un’alleanza ben strana: Verdi-Destra. Altri tempi, quelli in cui Landolfi non era simpatico al clan. Si opponeva. Poi tutto è cambiato, come a confermare che il potere al Sud deve essere sempre inquinato.Sostenere oggi che non si sapeva è assurdo. Come affermare di non sapere cosa facessero parenti e collaboratori. Alla fine di questa storia rimane solo questa terra ferita. E il sogno che qualcuno, finalmente, si dimetta. 18 gennaio 2008
Wednesday, February 20, 2008
Marco Travaglio su Klaus Davi - fatevi due risate
siccome ogni tanto bisogna cercare di farci una risata, niente di meglio dell'articolo di Marco Travaglio sul personaggio Klaus Davi, onnipresente guru , -ologo televisivo che difficilmente sfuggite se accendente la tv, imperversa nei talk show, nei tg,è ovunque; l'articolo di Travaglio esprime compiutamente quello che già pensavo sul Davi e non posso non postarlo .
"Santa Klaus
Incerto se occuparsi dei processi Berlusconi e Dell’Utri, o se invece presentare il suo ultimo libro anche a Porta a Porta avendo esaurito gli altri programmi Rai, lunedì Bruno Vespa ha optato per un caso ben più serio che lacera la società contemporanea: le gemelle Lecciso. Erano con lui, in quell’ora grave, Barbara Palombelli e Paolo Crepet, che distillavano gli stessi alti concetti espressi di solito sul pigiama della mamma di Cogne. Poi, al posto del criminologo Francesco Bruno, c’era Klaus Davi. Gli storici che studieranno l’Italia di inizio millennio si occuperanno, nel reparto peli superflui, di questo eroe dei nostri tempi che riciccia su tutti i canali, a tutte le ore, in tutti i programmi, a discutere di tutto senza dire nulla né aver nulla da dire. Chi è Klaus Davi? Svizzero, 37 anni, è quel wurstel coi capelli unti, gli occhialini tondi, l’abitino di carta stagnola e la vocina bianca che ride sempre senza spiegare né sapere perché. Si presenta come “massmediologo”, ma nelle redazioni dei giornali è noto da diversi anni, da quando si aggirava come un postulante molesto tentando di piazzare sondaggini su argomenti improbabili e veniva gentilmente accompagnato all’uscita. Poi convinse incolpevoli vip e mezzivip, fra i quali la psicologa Vera Slepoj, ad affidarsi a lui per promuovere la loro “immagine” e cominciò a creare “eventi” intorno a loro, nella speranza di una citazione, o almeno una didascalia. A furia di insistere e di presenziare, entrò a far parte del paesaggio, anche se nessuno capiva bene chi fosse e che volesse. Un po’ come gli imbucati ai pranzi di matrimonio, che i parenti della sposa credono amici dello sposo, e viceversa; intanto quelli mangiano a sbafo. Che cosa sia poi accaduto non si sa. Si sa soltanto che, a un certo punto, l’uomo-wurstel “svoltò”. Continuò a piazzare vip e mezzivip in tv e nei giornali e poi, già che c’era, piazzò anche se stesso. Da quando in tv non possono più metter piede Biagi, Santoro e gli altri criminosi, il Negronetto della massmediologia sbuca in ogni dove come “opinionista” dispensando il suo nulla a piene manine. Perché lui ha questo, di buono: riesce a parlare di tutto con la stessa, enciclopedica incompetenza. Ospite fisso di Quelli che il calcio e del Processo di Biscardi, ma anche di Vespa e di Costanzo, ha addirittura un contratto col Tg3: ogni sera traduce due o tre titoli di giornale dal francese e dall’inglese, impresa così ardua da non poter essere realizzata in redazione, e da imporre un appalto esterno al Davi medesimo. Il quale, la domenica, al Tg3 della notte, balbetta addirittura un “editoriale”. Negli ultimi tempi s’è dato pure alla politica, curando immagini a destra e a sinistra. Il che non gli impedisce di tenere rubriche di argomento televisivo sull’ Espresso e Sorrisi e Canzoni, in triplo conflitto d’interessi. Per non farci mancare niente, ha persino scritto un libro,“Dì qualcosa di sinistra”,dal sottotitolo che è tutto un programma: “Come vincere in politica senza parlar male del Cavaliere”. Per incredibile che possa sembrare, ha trovato persino nei Ds qualcuno che gli desse retta, a riprova del fatto che la “circonvenzione di capace” (definizione di Agnelli) non è riuscita soltanto ad Adornato con Romiti ai tempi di Liberal. La cura Davi, catastrofica per il centrosinistra, si rivela però fruttuosa almeno per Davi. Che infatti viene continuamente invitato nelle tv controllate o possedute da Berlusconi, intervistato dai giornali di Berlusconi, ingaggiato dalle regioni targate Berlusconi (come Piemonte e Lazio). Segno evidente che Berlusconi lo teme come una spina nel fianco. Lui comunque lavora per destra e sinistra: così, mal che vada, vince sempre.Il 12 novembre, intervistato dal Giornale, Wurstel Man ammoniva la sinistra a guardarsi “dalla sindrome da Michael Moore”, sosteneva che in Rai “sembra di essere all’era Santoro-Zaccaria”, intimava alla Dandini a non invitare più Santoro e invitava l’Ulivo a elogiare la riforma fiscale di Berlusconi e a frequentare Biscardi. Il 5 dicembre, sempre sul Giornale, elogiava Rete4 (“più brillante di Rai3”) e bocciava Rai3 (“una rete ghetto”) e Ballarò, reo di aver invitato un “registucolo qualsiasi” come Ken Loach. Per fortuna alla rete-ghetto rimane un gigante come Davi, che tutto il mondo ci invidia. “La mission – si legge nel suo sito - della Klaus Davi & Co. consiste nell’assistere il cliente in ogni passo del processo di decisione... A questi plus si aggiunge un nuovo approccio di comunicazione ambientalista... Inizialmente votata alla comunicazione pubblicitaria, al fashion e all’implementazione della brand awareness, si è oggi sviluppata e organizzata nelle divisioni Practice Corporate Communications (Posizionamento/ riposizionamento strategico; relazioni con enti/istituzioni/ altri stakeholder; reputation management; image building), Practice Mass Marketing & Fashion Communications (relazioni con trendsetter, iniziative di co-marketing)...”. Ecco: mentre gli altri dormono, Davi approccia il plus, riposiziona la mission, monitora il fashion e implementa il brand awareness. Fra i beneficiari più prestigiosi delle sue “grandi strategie di comunicazione”, oltre a Rai e Ds, si segnalano i Giovani Imprenditori, la Fiat Auto, ma soprattutto i reggipetto Wonderbra e il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo Imballaggi Cellulosici. Senza dimenticare il Consorzio Prosciutto S.Daniele che, per motivi autobiografici, è il suo preferito."
"Santa Klaus
Incerto se occuparsi dei processi Berlusconi e Dell’Utri, o se invece presentare il suo ultimo libro anche a Porta a Porta avendo esaurito gli altri programmi Rai, lunedì Bruno Vespa ha optato per un caso ben più serio che lacera la società contemporanea: le gemelle Lecciso. Erano con lui, in quell’ora grave, Barbara Palombelli e Paolo Crepet, che distillavano gli stessi alti concetti espressi di solito sul pigiama della mamma di Cogne. Poi, al posto del criminologo Francesco Bruno, c’era Klaus Davi. Gli storici che studieranno l’Italia di inizio millennio si occuperanno, nel reparto peli superflui, di questo eroe dei nostri tempi che riciccia su tutti i canali, a tutte le ore, in tutti i programmi, a discutere di tutto senza dire nulla né aver nulla da dire. Chi è Klaus Davi? Svizzero, 37 anni, è quel wurstel coi capelli unti, gli occhialini tondi, l’abitino di carta stagnola e la vocina bianca che ride sempre senza spiegare né sapere perché. Si presenta come “massmediologo”, ma nelle redazioni dei giornali è noto da diversi anni, da quando si aggirava come un postulante molesto tentando di piazzare sondaggini su argomenti improbabili e veniva gentilmente accompagnato all’uscita. Poi convinse incolpevoli vip e mezzivip, fra i quali la psicologa Vera Slepoj, ad affidarsi a lui per promuovere la loro “immagine” e cominciò a creare “eventi” intorno a loro, nella speranza di una citazione, o almeno una didascalia. A furia di insistere e di presenziare, entrò a far parte del paesaggio, anche se nessuno capiva bene chi fosse e che volesse. Un po’ come gli imbucati ai pranzi di matrimonio, che i parenti della sposa credono amici dello sposo, e viceversa; intanto quelli mangiano a sbafo. Che cosa sia poi accaduto non si sa. Si sa soltanto che, a un certo punto, l’uomo-wurstel “svoltò”. Continuò a piazzare vip e mezzivip in tv e nei giornali e poi, già che c’era, piazzò anche se stesso. Da quando in tv non possono più metter piede Biagi, Santoro e gli altri criminosi, il Negronetto della massmediologia sbuca in ogni dove come “opinionista” dispensando il suo nulla a piene manine. Perché lui ha questo, di buono: riesce a parlare di tutto con la stessa, enciclopedica incompetenza. Ospite fisso di Quelli che il calcio e del Processo di Biscardi, ma anche di Vespa e di Costanzo, ha addirittura un contratto col Tg3: ogni sera traduce due o tre titoli di giornale dal francese e dall’inglese, impresa così ardua da non poter essere realizzata in redazione, e da imporre un appalto esterno al Davi medesimo. Il quale, la domenica, al Tg3 della notte, balbetta addirittura un “editoriale”. Negli ultimi tempi s’è dato pure alla politica, curando immagini a destra e a sinistra. Il che non gli impedisce di tenere rubriche di argomento televisivo sull’ Espresso e Sorrisi e Canzoni, in triplo conflitto d’interessi. Per non farci mancare niente, ha persino scritto un libro,“Dì qualcosa di sinistra”,dal sottotitolo che è tutto un programma: “Come vincere in politica senza parlar male del Cavaliere”. Per incredibile che possa sembrare, ha trovato persino nei Ds qualcuno che gli desse retta, a riprova del fatto che la “circonvenzione di capace” (definizione di Agnelli) non è riuscita soltanto ad Adornato con Romiti ai tempi di Liberal. La cura Davi, catastrofica per il centrosinistra, si rivela però fruttuosa almeno per Davi. Che infatti viene continuamente invitato nelle tv controllate o possedute da Berlusconi, intervistato dai giornali di Berlusconi, ingaggiato dalle regioni targate Berlusconi (come Piemonte e Lazio). Segno evidente che Berlusconi lo teme come una spina nel fianco. Lui comunque lavora per destra e sinistra: così, mal che vada, vince sempre.Il 12 novembre, intervistato dal Giornale, Wurstel Man ammoniva la sinistra a guardarsi “dalla sindrome da Michael Moore”, sosteneva che in Rai “sembra di essere all’era Santoro-Zaccaria”, intimava alla Dandini a non invitare più Santoro e invitava l’Ulivo a elogiare la riforma fiscale di Berlusconi e a frequentare Biscardi. Il 5 dicembre, sempre sul Giornale, elogiava Rete4 (“più brillante di Rai3”) e bocciava Rai3 (“una rete ghetto”) e Ballarò, reo di aver invitato un “registucolo qualsiasi” come Ken Loach. Per fortuna alla rete-ghetto rimane un gigante come Davi, che tutto il mondo ci invidia. “La mission – si legge nel suo sito - della Klaus Davi & Co. consiste nell’assistere il cliente in ogni passo del processo di decisione... A questi plus si aggiunge un nuovo approccio di comunicazione ambientalista... Inizialmente votata alla comunicazione pubblicitaria, al fashion e all’implementazione della brand awareness, si è oggi sviluppata e organizzata nelle divisioni Practice Corporate Communications (Posizionamento/ riposizionamento strategico; relazioni con enti/istituzioni/ altri stakeholder; reputation management; image building), Practice Mass Marketing & Fashion Communications (relazioni con trendsetter, iniziative di co-marketing)...”. Ecco: mentre gli altri dormono, Davi approccia il plus, riposiziona la mission, monitora il fashion e implementa il brand awareness. Fra i beneficiari più prestigiosi delle sue “grandi strategie di comunicazione”, oltre a Rai e Ds, si segnalano i Giovani Imprenditori, la Fiat Auto, ma soprattutto i reggipetto Wonderbra e il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo Imballaggi Cellulosici. Senza dimenticare il Consorzio Prosciutto S.Daniele che, per motivi autobiografici, è il suo preferito."
Martin Luther King
Un giornalista un giorno venne a dirmi:"Professor King, non crede di dover modificare la sua posizione, visto che sono così tanti a criticarla? Sta perdendo il rispetto che una volta le persone avevano nei suoi confronti. E immagino che la sua posizione provocherà danni anche all’associazione: sono stati annunciati tagli ai finanziamenti. Era una buona domanda: il giornalista mi chiedeva se in questa situazione intendevo pensare a quel che sarebbe accaduto a ma, oppure a quel che sarebbe accaduto alla verità e alla giustizia.In certe situazioni, la vigliaccheria domanda: "E’ una cosa sicura?". E l’utilitarismo domanda:" E’ politicamente opportuno?". Poi arriva la vanità a domandare: "E’ una cosa che ha il favore del pubblico?". Ma la coscienza domanda: "E’ Giusto?". E arriva il momento in cui si deve prendere una posizione che non è sicura, non è opportuna politicamente, non riscuote il favore del pubblico: però si deve fare così, perché la coscienza dice che è giusto.In ultima analisi, un uomo non si misura dalla posizione che assume nei momenti di convenienza, ma da quella che assume nel cimento, nelle grandi crisi e controversie.Ed è qui che oggi scelgo di tentare la mia sorte. Ed è per questo che voglio andare fino in fondo così.
Martin Luther King
Martin Luther King
Monday, February 18, 2008
STRALCI DALLA VITA DI DELL'UTRI
http://gigionetworking.wordpress.com/glia-amici-degli-amici-quando-un-reato-tira-laltro-come-fossero-baci-in-bocca-ecco-il-partito-forza-mafia/
Il 19 aprile 1980 si sposa a Londra Jimmy Fauci, pluripregiudicato amico dei boss, che gestisce il traffico di droga fra Italia, Gran Bretagna e Canada; alle nozze partecipa anche Dell’Utri con l’amico di una vita Cinà.
Il 19 aprile 1980 si sposa a Londra Jimmy Fauci, pluripregiudicato amico dei boss, che gestisce il traffico di droga fra Italia, Gran Bretagna e Canada; alle nozze partecipa anche Dell’Utri con l’amico di una vita Cinà.
storia europa7 rete4
Europa 7: è un’emittente televisiva italiana priva di frequenze, caso unico al mondo. È al centro della vicenda riguardante l’assegnazione di frequenze nazionali. Il circuito nasce per volontà dell’imprenditore Francesco di Stefano con cui sostituisce Italia 7 tra il 1997 ed 1998. Il palinsesto consiste nel mandare in onda più volte a giornata vari programmi di cui alcuni sono della precedente emittente e gli stessi film varie volte al mese a ciclo continuo. Una delle poche ed ultime cose autoprodotte con successo è il “Seven Show” la cui ultima edizione viene condotta da Teo Mammuccari fino al 1999 e fino a poco tempo fa veniva continuamente replicato. Proprio in quell’anno Di Stefano decide di avventurarsi nel progetto di creare una televisione nazionale con frequenze proprie e deve cedere sia l’emittente di cui è proprietario, la laziale TVR Voxson, sia il circuito (quest’ultimo verrà poi gestito dal gruppo Media 2001). Nel corso degli anni il network si è via via ridimensionato arrivando ad oggi a contare solo 6 emittenti che coprono 7 regioni. Dal gennaio 2006 poi non vengono più trasmesse serie animate, con una programmazione che si compone così di alcune pellicole cinematografiche e programmi di vario genere. Nel luglio 1999, Francesco di Stefano, dopo aver messo da parte i soldi derivati dalla precedente attività di syndication (12 miliardi di lire), decide di partecipare ad una gara pubblica per l’ assegnazione delle frequenze televisive nazionali (in totale 11: 3 per la RAI e 8 per i gruppi privati) con richiesta di 2 reti televisive: Europa 7 e 7 plus. Riesce a vincere una concessione per Europa 7, al posto di Rete 4, il quale perde il diritto di trasmettere. La commissione ministeriale della gara nega la richiesta per 7 plus, ma Francesco di Stefano fa ricorso al Consiglio di Stato, il quale ordina al ministero di dare anche una seconda concessione. Nel fratempo, Europa 7 si prepara per inziare le nuove trasmissioni entro il 31 dicembre 1999 come prevede la licenza: il piano prevede 700 assunzioni, uno centro di produzione a Roma di 20000 mq composto da altri 8 studios all’avanguardia, e un imprtante library di programmi (nella graduatoria Europa 7 è prima in programmazione). In ogni caso, fino ad oggi, Europa 7 non riuscirà mai a trasmettere; il ministero contravvenendo al risultato della gara pubblica non concede le frequenze, e con una autorizzazione ministeriale del 1999 (non prevista da nessuna legge) permette la prosecuzione delle trasmissioni analogiche a Rete 4, che in base alla gare pubblica non ne aveva diritto; occorre ricordare che il sistema di trasmissione delle tv analogiche permette in Italia solo 11 reti nazionali, di cui le 3 reti RAI. Comincia da parte della società di Europa 7 una serie di rincorsi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio), al Consiglio di Stato e alla Corte Costituzionale. Nel novembre 2002, interviene la Corte Costituzionale, la quale con la sentenza 466/2002, decide (come nel 1994) che nessun privato può possedere più di 2 frequenze televisive e le reti eccedenti, in questo caso Rete 4 (e Telepiù nero), devono cessare la trasmissione in via analogica terrestre. La Corte, inoltre, fissa un limite improrogabile entro il 31 dicembre 2003, e così dal 2004 le frequenze occupate da Rete 4 (che deve migrare sul satellite) devono andare ad Europa 7. Nel estate del 2003, il ministro delle communicazioni Maurizio Gasparri presenta un disegno di legge per il riordino del sistema radiotelevisivo italiano e l’introduzione della trasmissione digitale terrestre. La legge (nota come legge Gasparri) verrà approvata dal Parlamento il dicembre 2003, la quale permette a Rete 4 di continuare a trasmettere in via analogica terrestre in netto e palese contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale. Successivamente, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, rifiuta di firmare la legge come incostituzionale e la rinvia alle camere. Così, per poter garantire a Rete 4 di continuare a trasmettere via etere, il 24 dicembre 2003 il governo Berlusconi vara un decreto legge (noto come decreto “salva Rete 4″). La legge Gasparri si approva definitivamente nell’aprile 2004, anch’essa senza prendere in considerazione la sentenza 466/2002 della Corte Costituzionale. Nel luglio 2005, il Consiglio di Stato, dopo il ricorso di Europa 7, ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di rispondere a 10 quesiti, dove si mettono in discussione le leggi italiane in materia di televisioni ed è in ballo una richiesta sempre da parte di Europa 7 per risarcimento danni da parte dello Stato di 3 miliardi di euro per la mancata attività televisiva. Oggi la società Europa 7 è praticamente ferma. Di Stefano, suo fondatore, intervistato da la Stampa, attende la sentenza della Corte di Giustizia Europea. La sua vicenda è seguita da pochissime persone, tra gli altri il giornalista di Repubblica Giovanni Valentini e il portavoce di Articolo 21 Giuseppe Giulietti.
rete 4 - Rete4 - Europa 7 - la corte di giustizia europea condanna il regime di assegnazione frequenze
BRUXELLES - La Corte europea di giustizia ha condannato, oggi a Lussemburgo, il regime italiano di assegnazione delle frequenze per le attività di trasmissione televisiva, nella sentenza sulla causa che opponeva l’emittente privata Centro Europa 7 al Ministero delle Comunicazioni. Secondo la Corte il regime di assegnazione delle frequenze non rispetta il principio della libera prestazione dei servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.
Secondo la Corte: «L’applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa a favore delle reti esistenti ha avuto l’effetto di impedire l’accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze. Questo effetto restrittivo è stato consolidato dall’autorizzazione generale, a favore delle sole reti esistenti, ad operare sul mercato dei servizi radiotrasmessi. Tali regimi hanno avuto l’effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali giá attivi su questo mercato». Il giudice del rinvio sottolinea che «in Italia il piano nazionale di assegnazione per le frequenze non è mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto delle frequenze di continuare le loro trasmissioni nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni. Le leggi succedutesi, che hanno perpetuato un regime transitorio, hanno avuto l’effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale».
IL CASO - Il caso Europa 7 risale al 1999, quando l’emittente tv ha ottenuto dalle autorità italiane competenti un’autorizzazione a trasmettere a livello nazionale in tecnica analogica, ma non è mai stata in grado di trasmettere in mancanza di assegnazione di radiofrequenze. Il giudice amministrativo, ricorda la Corte Ue nella nota diffusa a Bruxelles, ha respinto una domanda di Europa 7 di accertamento del diritto ad ottenere l’assegnazione delle frequenze, nonchè il risarcimento del danno subito. Il Consiglio di Stato, dinanzi al quale pende attualmente la causa, ha interrogato la Corte di giustizia Ue sull’interpretazione delle disposizioni previste dal diritto comunitario per i criteri di assegnazione di radiofrequenze al fine di operare sul mercato delle trasmissioni tv.
MEDIASET: «NESSUN RISCHIO PER RETEQUATTRO» - La sentenza della corte di giustizia Ue che definisce «contrario al diritto comunitario» il regime italiano di assegnazione delle frequenze tv «non può comportare alcuna conseguenza sull’utilizzo delle frequenze nella disponibilità delle reti Mediaset». Lo dichiara l’azienda in una nota diffusa poco prima dell’ufficializzazione della posizione della corte, anticipata oggi da alcuni giornali.
«Il giudizio cui la sentenza si riferisce riguarda infatti esclusivamente una domanda di risarcimento danni proposta da Europa 7 contro lo Stato italiano e non può concludersi in alcun modo con pronunce relative al futuro uso delle frequenze», «Quanto all’insinuazione che retequattro occuperebbe indebitamente spazi trasmissivi a danno di europa 7», aggiunge, «Mediaset ribadisce che Retequattro è pienamente legittimata all’utilizzo delle frequenze su cui opera. Quindi nessun rischio per Retequattro».
GIULIETTI: «SUPERARE IL DUOPOLIO» - «La sentenza della Corte di Strasburgo sul regime di assegnazione delle frequenze sanziona in modo definitivo l’anomalia italiana. Adesso bisogna consentire a Europa7 di trasmettere», ha detto a Radio Radicale il deputato del Pd Giuseppe Giulietti. «Sarebbe davvero grave se qualcuno stesse già pensando ad una nuova legge porcata, bisognerebbe piuttosto accettare i rilievi della Corte di Strasburgo per superare il duopolio», ha continuato Giulietti, chiedendosi: «C’è per caso nel centro destra qualcuno che voglia fare qualche passo in questa direzione? La legge Gentiloni cercava di rimediare in qualche modo a questa situazione, ma devo con dispiacere constatare che fin dall’inizio nel centro sinistra hanno lavorato dei basisti che ne hanno impedito l’approvazione».
www.corriere.it
31 gennaio 2008
Secondo la Corte: «L’applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa a favore delle reti esistenti ha avuto l’effetto di impedire l’accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze. Questo effetto restrittivo è stato consolidato dall’autorizzazione generale, a favore delle sole reti esistenti, ad operare sul mercato dei servizi radiotrasmessi. Tali regimi hanno avuto l’effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali giá attivi su questo mercato». Il giudice del rinvio sottolinea che «in Italia il piano nazionale di assegnazione per le frequenze non è mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto delle frequenze di continuare le loro trasmissioni nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni. Le leggi succedutesi, che hanno perpetuato un regime transitorio, hanno avuto l’effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale».
IL CASO - Il caso Europa 7 risale al 1999, quando l’emittente tv ha ottenuto dalle autorità italiane competenti un’autorizzazione a trasmettere a livello nazionale in tecnica analogica, ma non è mai stata in grado di trasmettere in mancanza di assegnazione di radiofrequenze. Il giudice amministrativo, ricorda la Corte Ue nella nota diffusa a Bruxelles, ha respinto una domanda di Europa 7 di accertamento del diritto ad ottenere l’assegnazione delle frequenze, nonchè il risarcimento del danno subito. Il Consiglio di Stato, dinanzi al quale pende attualmente la causa, ha interrogato la Corte di giustizia Ue sull’interpretazione delle disposizioni previste dal diritto comunitario per i criteri di assegnazione di radiofrequenze al fine di operare sul mercato delle trasmissioni tv.
MEDIASET: «NESSUN RISCHIO PER RETEQUATTRO» - La sentenza della corte di giustizia Ue che definisce «contrario al diritto comunitario» il regime italiano di assegnazione delle frequenze tv «non può comportare alcuna conseguenza sull’utilizzo delle frequenze nella disponibilità delle reti Mediaset». Lo dichiara l’azienda in una nota diffusa poco prima dell’ufficializzazione della posizione della corte, anticipata oggi da alcuni giornali.
«Il giudizio cui la sentenza si riferisce riguarda infatti esclusivamente una domanda di risarcimento danni proposta da Europa 7 contro lo Stato italiano e non può concludersi in alcun modo con pronunce relative al futuro uso delle frequenze», «Quanto all’insinuazione che retequattro occuperebbe indebitamente spazi trasmissivi a danno di europa 7», aggiunge, «Mediaset ribadisce che Retequattro è pienamente legittimata all’utilizzo delle frequenze su cui opera. Quindi nessun rischio per Retequattro».
GIULIETTI: «SUPERARE IL DUOPOLIO» - «La sentenza della Corte di Strasburgo sul regime di assegnazione delle frequenze sanziona in modo definitivo l’anomalia italiana. Adesso bisogna consentire a Europa7 di trasmettere», ha detto a Radio Radicale il deputato del Pd Giuseppe Giulietti. «Sarebbe davvero grave se qualcuno stesse già pensando ad una nuova legge porcata, bisognerebbe piuttosto accettare i rilievi della Corte di Strasburgo per superare il duopolio», ha continuato Giulietti, chiedendosi: «C’è per caso nel centro destra qualcuno che voglia fare qualche passo in questa direzione? La legge Gentiloni cercava di rimediare in qualche modo a questa situazione, ma devo con dispiacere constatare che fin dall’inizio nel centro sinistra hanno lavorato dei basisti che ne hanno impedito l’approvazione».
www.corriere.it
31 gennaio 2008
P2 Berlusconi ,Cicchitto, Martino , Selva, Publio Fiori , Donelli Sorrisi e Canzoni TV
“Le pagine gialle della P2″
di Marco Travaglio – tratto da “Avvenimenti” dell’ 08.04.2005
Ovvero, cosa fanno adesso?
- Berlusconi Silvio (tessera n.1816): …
- Cicchitto Fabrizio (tessera n.2232): deputato e vicecoordinatore nazionale di Forza Italia, nonchè editorialista de Il Giornale.
- Ciuni Roberto (tessera n.2101): collaboratore de Il Giornale e Panorama.
- Costanzo Maurizio (tessera n.1819): conduttore di Buona Domenica e de Il diario su Canale 5 nonché consulente per La 7.
- Croce Giuseppe (tessera n. 2071): Giudice per le Indagini Preliminari a Roma.
- De Carolis Massimo (tessera n.1815): avvocato, amico di Siniscalco, attuale esponente di Forza Italia.
- Donelli Massimo (tessera n. 2207): attuale direttore di TV Sorrisi e Canzoni (Gruppo Mediaset).
- Fiori Publio (tessera n. 1878): deputato di AN e attuale vicepresidente della Camera.
- Gervaso Roberto (tessera n. 1813) : ha una rubrica fissa su Rete 4 (Peste e corna) e sul Messaggero.
- Manca Enrico (tessera n. 2148): dirige l’associazione “Pol-Is” per il “rinnovamento della politica e della democrazia”. Attualmente nelle file della Margherita.
- Martino Antonio (aveva presentato domanda scritta di affiliazione, non fecero in tempo ad approvare il suo ingresso nella P2): attuale Ministro della Difesa.
- Memmo Roberto (tessera n. 1651): avvocato e finanziere dirige la “Fondazione Memmo per l’arte e la cultura”.
- Mosca Paolo (tessera n.2100): oggi direttore del rotocalco Vip e titolare di rubrica fissa quotidiana su Unomattina, in Rai.
- Nebiolo Gino (tessera n. 2097): attuale giornalista del Foglio di Ferrara e del Giornale di Sicilia.
- Picchioni Rolando (tessera n.2095): attuale segretario della Fondazione del Libro di Torino (ente organizzatore del Salone del Libro) e direttore esecutivo del World Political Forum. Viene dato come candidato alla poltrona di assessore alla cultura nella nuova giunta regionale piemontese.
- Rizzoli Angelo (tessera n. E.19.77): attuale produttore di cinema/ tv per Rai e Mediaset.
- Savoia Vittorio Emanuele (tessera n. 1621): mediatore d’affari.
- Selva Gustavo (tessera n.1814): deputato di An, attuale presidente della Commissione Esteri.
- Sensini Alberto (piduista “interruptus”, come Antonio Martino): giornalista del Gazzettino.
- Trifone Trecca Fabrizio (tessera n. 1748): titolare di rubrica fissa di medicina “Vivere bene” su Rete 4.
- Valori Giancarlo Elia (fascicolo n. 0283, espulso dallo stesso Gelli): Presidente della Società Italiana Autostrade e del consorzio di telefonia “Blu” e attuale Presidente dell’Unione Industriale di Roma.
di Marco Travaglio – tratto da “Avvenimenti” dell’ 08.04.2005
Ovvero, cosa fanno adesso?
- Berlusconi Silvio (tessera n.1816): …
- Cicchitto Fabrizio (tessera n.2232): deputato e vicecoordinatore nazionale di Forza Italia, nonchè editorialista de Il Giornale.
- Ciuni Roberto (tessera n.2101): collaboratore de Il Giornale e Panorama.
- Costanzo Maurizio (tessera n.1819): conduttore di Buona Domenica e de Il diario su Canale 5 nonché consulente per La 7.
- Croce Giuseppe (tessera n. 2071): Giudice per le Indagini Preliminari a Roma.
- De Carolis Massimo (tessera n.1815): avvocato, amico di Siniscalco, attuale esponente di Forza Italia.
- Donelli Massimo (tessera n. 2207): attuale direttore di TV Sorrisi e Canzoni (Gruppo Mediaset).
- Fiori Publio (tessera n. 1878): deputato di AN e attuale vicepresidente della Camera.
- Gervaso Roberto (tessera n. 1813) : ha una rubrica fissa su Rete 4 (Peste e corna) e sul Messaggero.
- Manca Enrico (tessera n. 2148): dirige l’associazione “Pol-Is” per il “rinnovamento della politica e della democrazia”. Attualmente nelle file della Margherita.
- Martino Antonio (aveva presentato domanda scritta di affiliazione, non fecero in tempo ad approvare il suo ingresso nella P2): attuale Ministro della Difesa.
- Memmo Roberto (tessera n. 1651): avvocato e finanziere dirige la “Fondazione Memmo per l’arte e la cultura”.
- Mosca Paolo (tessera n.2100): oggi direttore del rotocalco Vip e titolare di rubrica fissa quotidiana su Unomattina, in Rai.
- Nebiolo Gino (tessera n. 2097): attuale giornalista del Foglio di Ferrara e del Giornale di Sicilia.
- Picchioni Rolando (tessera n.2095): attuale segretario della Fondazione del Libro di Torino (ente organizzatore del Salone del Libro) e direttore esecutivo del World Political Forum. Viene dato come candidato alla poltrona di assessore alla cultura nella nuova giunta regionale piemontese.
- Rizzoli Angelo (tessera n. E.19.77): attuale produttore di cinema/ tv per Rai e Mediaset.
- Savoia Vittorio Emanuele (tessera n. 1621): mediatore d’affari.
- Selva Gustavo (tessera n.1814): deputato di An, attuale presidente della Commissione Esteri.
- Sensini Alberto (piduista “interruptus”, come Antonio Martino): giornalista del Gazzettino.
- Trifone Trecca Fabrizio (tessera n. 1748): titolare di rubrica fissa di medicina “Vivere bene” su Rete 4.
- Valori Giancarlo Elia (fascicolo n. 0283, espulso dallo stesso Gelli): Presidente della Società Italiana Autostrade e del consorzio di telefonia “Blu” e attuale Presidente dell’Unione Industriale di Roma.
Instructio de modo procedendi in causis sollicitationis - Ratzinger - Pedofilia - scomuniche ai molestati
Dal Texas giunge notizia dell'iscrizione di Papa Ratzinger nel registro degli indagati in un processo per pedofilia. Come sono andati i fatti?
"Questo è un caso in sede civile in cui è stato denunciato Ratzinger per una lettera del 2001 nella quale ribadiva il contenuto della Instructio de modo procedendi in causis sollicitationis del 1962... (documento inviato a tutti i vescovi e desecretato di recente, in cui il Vaticano ordinava che un minore qualora avesse dichiarato al suo vescovo di un abuso sessuale da parte di un sacerdote avrebbe dovuto giurare il segreto perpetuo, sotto eventuale pena di scomunica. Ed eventuali documenti comprovanti scandali di questo genere commessi da sacerdoti avrebbero dovuto essere tenuto in un archivio segreto, N.d.R.)
La Instructio è opera di Giovanni XXII, vero?
"Sì. Diciamo del Cardinale Ottaviani, per mettere le cose in chiaro, così come la lettera del 2001 (lettera confidenziale che l'allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, ribadiva il diritto della Chiesa non solo di rivendicare a sé la competenza giurisdizionale nei casi di abusi su minori da parte di esponenti religiosi, ma di svolgere le indagini e conservare le prove acquisite nel più assoluto segreto, fino al decorrere di dieci anni dal compimento della maggiore età della vittima. "Casi di questo tipo - conclude la lettera - sono soggetti al segreto pontificio", N.d.R.) non è di Giovanni Paolo II, ma di Ratzinger. A detta di Daniel Shea, l'avvocato che oltretutto è teologo, ex seminarista, e che ha conoscenze interne alla struttura, ritiene che Ratzinger in quel momento abbia agito al di fuori dei poteri propri del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede per innalzare i tempi della prescrizione. In questo modo ha impedito alla giurisdizione americana di intervenire in sede penale: difatti, tutti questi processi sono in sede civile perché sono andati in prescrizione i tempi dell'azione penale, e questa lettera del 2001, in pieno caos americano, ha spostato avanti - da 16 a 18 di due anni - l'età in cui per la Chiesa Cattolica si diventa maggiorenni anche negli Stati Uniti, e prolungato i termini per la prescrizione da 5 a 10 anni, guadagnando vantaggio sui termini della prescrizione in uso negli States. Per questo Ratzinger è stato denunciato come "individuo", non come Prefetto, ma come individuo per aver dato quelle disposizioni, e in quanto tale nel processo vi è rappresentato. C'è insomma un imputato che si chiama Joseph Ratzinger e che è presente davanti alla giustizia americana a titolo individuale".
E quindi?
"Questa cosa non è stata contestata dal Vaticano, che ha solo dichiarato che avrebbe chiesto l'immunità diplomatica per il Papa in quanto Capo di Stato. Ma c'è da sottolineare che al momento in cui è stato commesso il reato Ratzinger non era capo di stato, c'è da sottolineare che è stato denunciato a titolo individuale, non come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e comunque il giudice ha accettato questo stop chiesto dagli avvocati di Ratzinger per la richiesta dell'immunità, ma chiedendo loro un "rapporto" mensile sull'avanzamento dei lavori. Nel senso che l'immunità al capo di stato in America può essere concessa solo dal Presidente. E' Bush che deve dire al magistrato: 'Fermi tutti, il signor Ratzinger gode dell'immunità in quanto Capo di Stato'. Già per due volte - sono passati circa 75 giorni - Bush non ha risposto a questa richiesta. A fine Agosto ci sarà un'altra udienza nella quale gli avvocati di Ratzinger dovranno presentare il terzo rapporto mensile, e in quella sede l'avvocato Shea chiederà che si proceda comunque, visto che la pendenza del parere di Bush non è indispensabile, si può comunque procedere".
Dunque si è fermi a livello procedurale?
"E' tutta una questione aperta, ma il dato di fatto è che nel silenzio, da sei mesi, Ratzinger si trova iscritto come, diciamo così, imputato in un processo civile negli Stati Uniti".
Se il Papa dovesse essere condannato, che cosa accadrebbe?
"E' un processo civile, non è penale."
E finora che richieste di risarcimento sono state avanzate?
"Su questo processo nessuna. Intanto è stato accertato e accettato dal giudice che ci possa essere richiesta di risarcimento nei suoi confronti. Ancora alla fase della richiesta dei risarcimenti non ci siamo arrivati, siamo nella fase della 'costituzione' dell'imputato per iniziare il processo. Che in quanto civile ha un altro significato, chiaramente: anche noi, dovendo chiedere qualcosa non chiederemmo di arrestare Ratzinger, questo è chiaro. Sicuramente, come cose urgentissime chiediamo il ritiro di queste disposizioni e la trasparenza su quello che è accaduto perché, ricordiamoci, quei 4.000 preti riconosciuti dalla Conferenza episcopale americana come colpevoli di aver commesso delle violenze sessuali soprattutto nei confronti di minorenni sono 4.000 che siedono sui banchi della giustizia civile".
Cioè?
"In altre parole, non c'è stato un prete denunciato dalle autorità ecclesiastiche alla giustizia civile, hanno praticamente preso quello che è stato già accertato e l'hanno dato come buono senza dire però qual è stata l'attività a partire dal '62, tutti i dossier che loro hanno e che ancora non sono di dominio pubblico. Quindi noi vorremmo un po' di trasparenza su questo sapendo comunque che, a prescindere da questi documenti la causa prima delle deviazioni e sofferenze sessuali è la sessuofobia, la politica vaticana sul sesso".
Quindi voi chiedete anche una revisione della morale sessuale cattolica?
"La denunciamo questa politica. Così come denunciamo la politica proibizionista perché arricchisce i narcotrafficanti, la politica sessuofobica è causa di disastri e non di felicità. Noi pensiamo che la risposta sia libertà sessuale e di coscienza, libertà dell'individuo".
Antonino D'Anna
Mercoledí 17.08.2005 17:50
http://canali.libero.it/affaritaliani/politica/papaccusatoprocesso.html
"Questo è un caso in sede civile in cui è stato denunciato Ratzinger per una lettera del 2001 nella quale ribadiva il contenuto della Instructio de modo procedendi in causis sollicitationis del 1962... (documento inviato a tutti i vescovi e desecretato di recente, in cui il Vaticano ordinava che un minore qualora avesse dichiarato al suo vescovo di un abuso sessuale da parte di un sacerdote avrebbe dovuto giurare il segreto perpetuo, sotto eventuale pena di scomunica. Ed eventuali documenti comprovanti scandali di questo genere commessi da sacerdoti avrebbero dovuto essere tenuto in un archivio segreto, N.d.R.)
La Instructio è opera di Giovanni XXII, vero?
"Sì. Diciamo del Cardinale Ottaviani, per mettere le cose in chiaro, così come la lettera del 2001 (lettera confidenziale che l'allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, ribadiva il diritto della Chiesa non solo di rivendicare a sé la competenza giurisdizionale nei casi di abusi su minori da parte di esponenti religiosi, ma di svolgere le indagini e conservare le prove acquisite nel più assoluto segreto, fino al decorrere di dieci anni dal compimento della maggiore età della vittima. "Casi di questo tipo - conclude la lettera - sono soggetti al segreto pontificio", N.d.R.) non è di Giovanni Paolo II, ma di Ratzinger. A detta di Daniel Shea, l'avvocato che oltretutto è teologo, ex seminarista, e che ha conoscenze interne alla struttura, ritiene che Ratzinger in quel momento abbia agito al di fuori dei poteri propri del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede per innalzare i tempi della prescrizione. In questo modo ha impedito alla giurisdizione americana di intervenire in sede penale: difatti, tutti questi processi sono in sede civile perché sono andati in prescrizione i tempi dell'azione penale, e questa lettera del 2001, in pieno caos americano, ha spostato avanti - da 16 a 18 di due anni - l'età in cui per la Chiesa Cattolica si diventa maggiorenni anche negli Stati Uniti, e prolungato i termini per la prescrizione da 5 a 10 anni, guadagnando vantaggio sui termini della prescrizione in uso negli States. Per questo Ratzinger è stato denunciato come "individuo", non come Prefetto, ma come individuo per aver dato quelle disposizioni, e in quanto tale nel processo vi è rappresentato. C'è insomma un imputato che si chiama Joseph Ratzinger e che è presente davanti alla giustizia americana a titolo individuale".
E quindi?
"Questa cosa non è stata contestata dal Vaticano, che ha solo dichiarato che avrebbe chiesto l'immunità diplomatica per il Papa in quanto Capo di Stato. Ma c'è da sottolineare che al momento in cui è stato commesso il reato Ratzinger non era capo di stato, c'è da sottolineare che è stato denunciato a titolo individuale, non come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e comunque il giudice ha accettato questo stop chiesto dagli avvocati di Ratzinger per la richiesta dell'immunità, ma chiedendo loro un "rapporto" mensile sull'avanzamento dei lavori. Nel senso che l'immunità al capo di stato in America può essere concessa solo dal Presidente. E' Bush che deve dire al magistrato: 'Fermi tutti, il signor Ratzinger gode dell'immunità in quanto Capo di Stato'. Già per due volte - sono passati circa 75 giorni - Bush non ha risposto a questa richiesta. A fine Agosto ci sarà un'altra udienza nella quale gli avvocati di Ratzinger dovranno presentare il terzo rapporto mensile, e in quella sede l'avvocato Shea chiederà che si proceda comunque, visto che la pendenza del parere di Bush non è indispensabile, si può comunque procedere".
Dunque si è fermi a livello procedurale?
"E' tutta una questione aperta, ma il dato di fatto è che nel silenzio, da sei mesi, Ratzinger si trova iscritto come, diciamo così, imputato in un processo civile negli Stati Uniti".
Se il Papa dovesse essere condannato, che cosa accadrebbe?
"E' un processo civile, non è penale."
E finora che richieste di risarcimento sono state avanzate?
"Su questo processo nessuna. Intanto è stato accertato e accettato dal giudice che ci possa essere richiesta di risarcimento nei suoi confronti. Ancora alla fase della richiesta dei risarcimenti non ci siamo arrivati, siamo nella fase della 'costituzione' dell'imputato per iniziare il processo. Che in quanto civile ha un altro significato, chiaramente: anche noi, dovendo chiedere qualcosa non chiederemmo di arrestare Ratzinger, questo è chiaro. Sicuramente, come cose urgentissime chiediamo il ritiro di queste disposizioni e la trasparenza su quello che è accaduto perché, ricordiamoci, quei 4.000 preti riconosciuti dalla Conferenza episcopale americana come colpevoli di aver commesso delle violenze sessuali soprattutto nei confronti di minorenni sono 4.000 che siedono sui banchi della giustizia civile".
Cioè?
"In altre parole, non c'è stato un prete denunciato dalle autorità ecclesiastiche alla giustizia civile, hanno praticamente preso quello che è stato già accertato e l'hanno dato come buono senza dire però qual è stata l'attività a partire dal '62, tutti i dossier che loro hanno e che ancora non sono di dominio pubblico. Quindi noi vorremmo un po' di trasparenza su questo sapendo comunque che, a prescindere da questi documenti la causa prima delle deviazioni e sofferenze sessuali è la sessuofobia, la politica vaticana sul sesso".
Quindi voi chiedete anche una revisione della morale sessuale cattolica?
"La denunciamo questa politica. Così come denunciamo la politica proibizionista perché arricchisce i narcotrafficanti, la politica sessuofobica è causa di disastri e non di felicità. Noi pensiamo che la risposta sia libertà sessuale e di coscienza, libertà dell'individuo".
Antonino D'Anna
Mercoledí 17.08.2005 17:50
http://canali.libero.it/affaritaliani/politica/papaccusatoprocesso.html
Sunday, February 03, 2008
Cartimandua - Alias Deborah Bergamini
Ecco quello che rimane del vecchio blog anonimo di Deborah Bergamini, che qualcuno ha trovato nella cache di gooooogle ; forse dietro questo linguaggio fantasy c'era dell'altro, non saprei, ma trovo il fantasy già in sè noioso, a parte forse Tolkien , se poi passiamo al fantasy da Blog , il Blogtasy , le saghe celtiche di mitici popoli nordici ,del metallo e della luna, della magia etcetc rimango perplesso, non voglio credere che il mito celtico fosse un primario interesse della nostra amica Bergamini , magari era un divertissement, uno straniamento rilassante fuori orario lavorativo e poverina , forse ne aveva bisogno, avere a che fare ogni giorno con Saccà, Del Noce, Vespa, essere comunque un punto di riferimento di Berlu in RAI non deve essere il massimo della vita..In ogni caso eccovi un estratto dell'ormai cancellato Blog celtico della Bergy.
"Taliesin canta con voce di conchiglia. E' una melodia che ricorda alla Regina dei Celti i suoi tempi di ragazza, quando la luce era d'avorio, e il grande capo le sorrideva nella quiete della piccola spiaggia sul Lago Maestro. Il silenzio non era pesante, allora. Domani la più grande battaglia aspetta la Regina dei Celti: dimenticare. E così rinascere, farsi nuova, ancora una volta. Non tenere nulla di sé, mai, per non consentirsi di ripetere. Chiedere due volte è farsi dire di no due volte.
(dal "blog di Cartimandua", Oblivion, alias Deborah Bergamini)
...e ancora...
C'è una nuova cotta per la regina dei Celti. Luce di luna, strepito di tuono e abbraccio di ferro sono serviti al fido amico Odhran per omaggiare la sua regina. All'alba del terzo giorno, nella tenue luce di peltro, lei aveva uno sguardo denso, troppo denso. Soffriva, muta. Una cotta impenetrabile la proteggerà, aveva pensato Odhran. Ma nessun tuono poteva coprire il tumulto del cuore della regina. La passeggiata nel bosco liquido le era costata un momento d'anima. E lei aveva pagato di buon grado. Glielo aveva insegnato il grande capo, mentre nuotavano insieme nelle acque ghiacciate del Lago Maestro. Mai essere in debito. La sorte si disamora in fretta degli impari.
(dal "blog di Cartimandua", Oblivion, alias Deborah Bergamini)
"Taliesin canta con voce di conchiglia. E' una melodia che ricorda alla Regina dei Celti i suoi tempi di ragazza, quando la luce era d'avorio, e il grande capo le sorrideva nella quiete della piccola spiaggia sul Lago Maestro. Il silenzio non era pesante, allora. Domani la più grande battaglia aspetta la Regina dei Celti: dimenticare. E così rinascere, farsi nuova, ancora una volta. Non tenere nulla di sé, mai, per non consentirsi di ripetere. Chiedere due volte è farsi dire di no due volte.
(dal "blog di Cartimandua", Oblivion, alias Deborah Bergamini)
...e ancora...
C'è una nuova cotta per la regina dei Celti. Luce di luna, strepito di tuono e abbraccio di ferro sono serviti al fido amico Odhran per omaggiare la sua regina. All'alba del terzo giorno, nella tenue luce di peltro, lei aveva uno sguardo denso, troppo denso. Soffriva, muta. Una cotta impenetrabile la proteggerà, aveva pensato Odhran. Ma nessun tuono poteva coprire il tumulto del cuore della regina. La passeggiata nel bosco liquido le era costata un momento d'anima. E lei aveva pagato di buon grado. Glielo aveva insegnato il grande capo, mentre nuotavano insieme nelle acque ghiacciate del Lago Maestro. Mai essere in debito. La sorte si disamora in fretta degli impari.
(dal "blog di Cartimandua", Oblivion, alias Deborah Bergamini)
Giuseppe Guttadauro - Boss Mafioso - Mafia - Miceli - Cuffaro
dalla voce Guttadauro in http://en.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Guttadauro
Giuseppe Guttadauro (Bagheria, August 18, 1948) is a Mafia boss and a high profile surgeon from the neighbourhood Roccella in Palermo.[4] He became the regent of the Brancaccio mandamento after the arrest and subsequent incarceration of the capomafie Giuseppe Graviano and Filippo Graviano.
Guttadauro was arrested in November 2002. His wife Gisella Greco and son were arrested on December 6, 2002 in a vast operation against the Mafia (Operation Ghiaccio), in which Guttadauro received another arrest warrant. His wife and son allegedly continued to run illicit business in his absence and acted as a conduit for his messages to other Mafia bosses on the outside.[5][6]
Police had bugged Guttadauro’s apartment and he was overheard discussing political appointments with the city's public health councillor Domenico Miceli, himself a doctor. (Miceli was sentenced to eight years for mafia association in December 2006)[7] Guttadauro learned that his home was being "bugged" from another doctor. The colleague alleged that he, in turn, had been tipped off by the President of the Sicilian region Salvatore Cuffaro.[8]
Before Guttadauro discovered the eavesdropping, he was recorded apparently describing how the mafia had funded Cuffaro's 2001 election campaign. According to a transcript, he told his brother-in-law that Cuffaro was handed packages of cash "in the least elegant, but most tangible way possible".[8]
The inquiry set up to trace the origin of leaks during an investigation into Guttadauro led to the questioning of Cuffaro by the Palermo prosecuting office,[9] and in September 2004 to an indictment charging Cuffaro with aiding and abetting the Mafia.[8] Cuffaro refused to resign when sent for trial, saying he would only do so if convicted. In the meantime he was re-elected as President in 2006 regional election defeating Rita Borsellino, the sister of the late judge Paolo Borsellino, killed by the Mafia in 1992.[10] On October 15, 2007, the prosecution requested eight years' imprisonment for Cuffaro for passing confidential information to the so-called moles in the Palermo Antimafia directorate.[11]
Giuseppe Guttadauro (Bagheria, August 18, 1948) is a Mafia boss and a high profile surgeon from the neighbourhood Roccella in Palermo.[4] He became the regent of the Brancaccio mandamento after the arrest and subsequent incarceration of the capomafie Giuseppe Graviano and Filippo Graviano.
Guttadauro was arrested in November 2002. His wife Gisella Greco and son were arrested on December 6, 2002 in a vast operation against the Mafia (Operation Ghiaccio), in which Guttadauro received another arrest warrant. His wife and son allegedly continued to run illicit business in his absence and acted as a conduit for his messages to other Mafia bosses on the outside.[5][6]
Police had bugged Guttadauro’s apartment and he was overheard discussing political appointments with the city's public health councillor Domenico Miceli, himself a doctor. (Miceli was sentenced to eight years for mafia association in December 2006)[7] Guttadauro learned that his home was being "bugged" from another doctor. The colleague alleged that he, in turn, had been tipped off by the President of the Sicilian region Salvatore Cuffaro.[8]
Before Guttadauro discovered the eavesdropping, he was recorded apparently describing how the mafia had funded Cuffaro's 2001 election campaign. According to a transcript, he told his brother-in-law that Cuffaro was handed packages of cash "in the least elegant, but most tangible way possible".[8]
The inquiry set up to trace the origin of leaks during an investigation into Guttadauro led to the questioning of Cuffaro by the Palermo prosecuting office,[9] and in September 2004 to an indictment charging Cuffaro with aiding and abetting the Mafia.[8] Cuffaro refused to resign when sent for trial, saying he would only do so if convicted. In the meantime he was re-elected as President in 2006 regional election defeating Rita Borsellino, the sister of the late judge Paolo Borsellino, killed by the Mafia in 1992.[10] On October 15, 2007, the prosecution requested eight years' imprisonment for Cuffaro for passing confidential information to the so-called moles in the Palermo Antimafia directorate.[11]
la mafia aggredisce Pino Maniaci , giornalista di Telejato
Aggredito Pino Maniaci giornalista di Telejato
di Norma Ferrara
Ha il volto tumefatto e lividi in tutto il corpo ma la voce è ferma, come sempre. E’ Pino Maniaci, giornalista di Telejato, emittente di Partinico (Pa) aggredito martedì sera da due giovani, uno dei quali figlio del boss mafioso Vito Vitale. Il giornalista è stato ricoverato in ospedale e dimesso durante la notte. Da anni Telajato, tv locale impegnata nella denuncia del sistema politico mafioso del territorio, fa un giornalismo scomodo che parla di mafia e legalità, con un linguaggio che non fa sconti a nessuno. A raccontarci cos’è accaduto dalla redazione di Telejato, Pino Maniaci: Sino ad oggi erano arrivate in redazione lettere anonime, telefonate di minacce e spesso avete trovato persino le gomme delle vostre auto forate, martedì invece è accaduto dell’altro, cosa? Stavo rientrando dalla redazione intorno alle 19.00 quando d’un tratto la mia macchina è stata fermata da un’altra dalla quale sono scesi due ragazzi, uno di loro è Michele Vitale, figlio del noto boss Vito. I due hanno iniziato a provocarmi ed insultarmi a parole, poi mi hanno impedito di scendere dalla macchina e con lo sportello aperto hanno iniziato a colpirmi con calci e pugni. Sono rimasto seduto, incastrato ed impossibilitato a muovermi, a difendermi. Uno dei due ha poi cercato di utilizzare la mia cravatta per soffocarmi, fortunatamente uso il doppio nodo e non vi sono riusciti. Dopo si sono messi in macchina e sono fuggiti. Quali sono le tue condizioni di salute oggi dopo quest’aggressione avvenuta, fra l'altro, in pieno centro? In ospedale mi hanno medicato e dato una prognosi di otto giorni. In nottata ho preferito lasciare l’ospedale e tornare a casa, anche per rasserenare la mia famiglia. Ho sporto denuncia contro i due ragazzi. Uno, Michele Vitale, minorenne, l’ho riconosciuto subito, l’altro non lo conoscevo ma ho fornito una descrizione agli inquirenti. Polizia e carabinieri sono stati con noi tutta la notte. Ho ricevuto messaggi di solidarietà dal presidente della Commissione antimafia, Francesco Forgione, da quello della Camera e da molti altri esponenti delle istituzioni, nonché da privati cittadini che ci sono vicini. La vostra è un’informazione che infastidisce le famiglie della zona da anni, cosa può aver scatenato, in particolare, l’aggressione? Probabilmente l’aver aperto il telegiornale con la notizia che, sul terreno dove sorgono le stalle, confiscate alla famiglia Vitale, da ieri lavorano le ruspe che stanno finalmente buttando giù quell’orrendo simbolo della morte. Da li, non dimentichiamolo, passavano affari ma soprattutto “comandi di morte”. Come se non fosse accaduto nulla, Pino Maniaci e la piccola redazione di Telejato sono oggi a lavoro, sebbene dietro questa apparente normalità a tratti la voce tremi e le parole rallentino. Sono attimi interminabili, gli stessi che accomunano tutti i giornalisti minacciati, intimiditi, aggrediti in giro per l’Italia. Telejato, in Sicilia, è una pagina di storia che si ripete, con il suo modo di fare informazione politicamente non corretto e quell'irriverenza graffiante che non risparmia nessuno. Un giornalismo nettamente fuori dagli schemi che smitizza di fronte ai moltissimi telespettatori, ogni giorno, più volte al giorno, onore e affari delle "famiglie" . Questo Cosa nostra non può tollerarlo. Ma per fortuna accade in molte province dell'Isola dove si continuano a raccontare i fatti dietro le notizie, senza fare passi indietro. Mai.
http://www.articolo21.info/
di Norma Ferrara
Ha il volto tumefatto e lividi in tutto il corpo ma la voce è ferma, come sempre. E’ Pino Maniaci, giornalista di Telejato, emittente di Partinico (Pa) aggredito martedì sera da due giovani, uno dei quali figlio del boss mafioso Vito Vitale. Il giornalista è stato ricoverato in ospedale e dimesso durante la notte. Da anni Telajato, tv locale impegnata nella denuncia del sistema politico mafioso del territorio, fa un giornalismo scomodo che parla di mafia e legalità, con un linguaggio che non fa sconti a nessuno. A raccontarci cos’è accaduto dalla redazione di Telejato, Pino Maniaci: Sino ad oggi erano arrivate in redazione lettere anonime, telefonate di minacce e spesso avete trovato persino le gomme delle vostre auto forate, martedì invece è accaduto dell’altro, cosa? Stavo rientrando dalla redazione intorno alle 19.00 quando d’un tratto la mia macchina è stata fermata da un’altra dalla quale sono scesi due ragazzi, uno di loro è Michele Vitale, figlio del noto boss Vito. I due hanno iniziato a provocarmi ed insultarmi a parole, poi mi hanno impedito di scendere dalla macchina e con lo sportello aperto hanno iniziato a colpirmi con calci e pugni. Sono rimasto seduto, incastrato ed impossibilitato a muovermi, a difendermi. Uno dei due ha poi cercato di utilizzare la mia cravatta per soffocarmi, fortunatamente uso il doppio nodo e non vi sono riusciti. Dopo si sono messi in macchina e sono fuggiti. Quali sono le tue condizioni di salute oggi dopo quest’aggressione avvenuta, fra l'altro, in pieno centro? In ospedale mi hanno medicato e dato una prognosi di otto giorni. In nottata ho preferito lasciare l’ospedale e tornare a casa, anche per rasserenare la mia famiglia. Ho sporto denuncia contro i due ragazzi. Uno, Michele Vitale, minorenne, l’ho riconosciuto subito, l’altro non lo conoscevo ma ho fornito una descrizione agli inquirenti. Polizia e carabinieri sono stati con noi tutta la notte. Ho ricevuto messaggi di solidarietà dal presidente della Commissione antimafia, Francesco Forgione, da quello della Camera e da molti altri esponenti delle istituzioni, nonché da privati cittadini che ci sono vicini. La vostra è un’informazione che infastidisce le famiglie della zona da anni, cosa può aver scatenato, in particolare, l’aggressione? Probabilmente l’aver aperto il telegiornale con la notizia che, sul terreno dove sorgono le stalle, confiscate alla famiglia Vitale, da ieri lavorano le ruspe che stanno finalmente buttando giù quell’orrendo simbolo della morte. Da li, non dimentichiamolo, passavano affari ma soprattutto “comandi di morte”. Come se non fosse accaduto nulla, Pino Maniaci e la piccola redazione di Telejato sono oggi a lavoro, sebbene dietro questa apparente normalità a tratti la voce tremi e le parole rallentino. Sono attimi interminabili, gli stessi che accomunano tutti i giornalisti minacciati, intimiditi, aggrediti in giro per l’Italia. Telejato, in Sicilia, è una pagina di storia che si ripete, con il suo modo di fare informazione politicamente non corretto e quell'irriverenza graffiante che non risparmia nessuno. Un giornalismo nettamente fuori dagli schemi che smitizza di fronte ai moltissimi telespettatori, ogni giorno, più volte al giorno, onore e affari delle "famiglie" . Questo Cosa nostra non può tollerarlo. Ma per fortuna accade in molte province dell'Isola dove si continuano a raccontare i fatti dietro le notizie, senza fare passi indietro. Mai.
http://www.articolo21.info/
Berlusconi si fa la legge e si autoassolve - Falso in bilancio
L’imputato s’è assolto da solo
di Marco Travaglio
Se non fosse l’ingrato che è, il Cainano erigerebbe a sue spese un monumento equestre al centrosinistra, che per la seconda volta gli riconsegna il Paese esattamente come lui l’aveva lasciato. Almeno per i settori che gl’interessano, cioè la giustizia e l’informazione. Pareva brutto cambiare qualcosa, c’era il rischio di offenderlo. Ieri, per esempio, la giustizia ha dimostrato che, volendo, può essere rapida, fulminea: un quarto d’ora di udienza, cinque minuti di camera di consiglio, poi la sentenza del processo Sme-Ariosto bis per i falsi in bilancio Fininvest connessi alle mazzette pagate al giudice Squillante. “Il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, nel senso che l’imputato l’ha depenalizzato.Il processo era l’ultima coda del filone “toghe sporche” aperto dalla Procura di Milano nell’estate del 1995 in seguito alla testimonianza di Stefania Ariosto. E riguardava i falsi in bilancio contestati al Cavaliere, come titolare del gruppo Fininvest, per far uscire clandestinamente dalle casse delle società estere il denaro necessario a corrompere, o comunque a pagare, alcuni magistrati che stavano sul libro paga del Biscione. Inizialmente il processo Sme-Ariosto era uno solo e vedeva imputati per corruzione giudiziaria Berlusconi, i suoi avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico e i giudici Filippo Verde (per la presunta sentenza venduta sul caso Sme del 1988) e Renato Squillante (per una tangente di 434 mila dollari del 1991); in più Berlusconi rispondeva anche di falso in bilancio. Poi, nel febbraio 2002, il suo governo depenalizzò di fatto i reati contabili, fissando soglie di non punibilità così alte da sanare cifre stratosferiche di fondi neri. Su richiesta della Procura, il Tribunale stralciò il capitolo del falso in bilancio e ricorse contro la nuova legge dinanzi alla Corte di giustizia europea, che però lasciò ai giudici italiani la decisione se applicare la legge italiana o quella (più rigida e prevalente) comunitaria. Intanto, nel processo principale, Previti, Pacifico e Squillante se la cavano con la prescrizione, solo Verde viene assolto. E così Berlusconi, ma solo per insufficienza di prove.
Le accuseResta, omai sul binario morto, il processo sul falso in bilancio che s’è chiuso ieri. Nel capo d’imputazione si legge che “Berlusconi Silvio, in concorso con gli altri amministratori e dirigenti delle spa Fininvest ed Istifi, in esecuzione di un unico disegno criminoso, quale presidente della spa Fininvest e azionista di riferimento dell’omonimo gruppo, fraudolentemente concorreva a esporre nei bilanci di esercizio delle precitate società, relativi agli anni 1986/’87, ‘88, ‘89, nonché nelle relazioni allegate ai bilanci e nelle altre comunicazioni sociali, notizie false e incomplete sulle condizioni economiche delle medesime: operando perché Istifi gestisse la tesoreria del gruppo in modo tale da non consentire l’attribuzione e la ricostruzione delle operazioni finanziarie finalizzate a creare provviste di contanti nonché l’effettivo impiego in operazioni riservate ed illecite ed anche per l’esecuzione dei pagamenti di cui ai capi precedenti (le presunte tangenti ai giudici Squillante e Verde, ndr); creando, attraverso operazioni eseguite presso la Fiduciaria Orefici di Milano, delle disponibilità extracontabili utilizzate per operazioni riservate e illecite nonché per eseguire i pagamenti di cui ai capo che precedono; cosí occultando, nelle diverse comunicazioni sociali, sia la creazione di disponibilità finanziarie, sia il loro impiego, sia l’esistenza di società correlate e di posizioni fiduciarie riferibili alle precitate società (nonché gli impegni per la loro capitalizzazione, i costi relativi e le plusvalenze realizzate)”. Indipendentemente dalla conclusione dei processi, i versamenti in nero della Fininvest sono documentali e incontestabili. I primi risalgono al 1988, poco dopo la sentenza di Cassazione che chiuse la causa civile sulla mancata cessione, nel 1985, della Sme dall’Iri di Prodi alla Buitoni di De Benedetti per l’azione di disturbo inscenata dal trio Berlusconi-Barilla-Ferrero (Iar) su ordine di Bettino Craxi. Il 2 maggio e il 26 luglio 1988, da un conto svizzero di Pietro Barilla, partono due bonifici: il primo di 750 milioni, il secondo di 1 miliardo di lire, entrambi diretti al conto Qasar Business aperto presso la Sbt di Bellinzona dall’avvocato Pacifico. I 750 milioni vengono ritirati in contanti da Pacifico, che li porta in Italia e – secondo l’accusa – ne consegnati una parte (200 milioni) brevi manu al giudice Verde, che nel 1986 ha sentenziato a favore della Iar (che però viene assolto: manca la prova dell’ ultimo passaggio). Il miliardo invece lascia tracce documentali fino al termine del suo percorso: il 29 luglio ’88 Pacifico ne bonifica 850 milioni al conto Mercier di Previti e 100 milioni al conto Rowena di Squillante, trattenendone solo 50 per sè. Perché tutto quel denaro targato Barilla-Berlusconi (soci nella Iar) approda – secondo i pm - sui conti di due magistrati e di due avvocati che l’imprenditore parmigiano non conosce e che non hanno mai lavorato per lui? Perché mai il socio di Berlusconi dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch’egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare?
Il bonifico OrologioC’è poi il versamento del 1991, sganciato dall’affare Sme, ma rientrante – per l’accusa – nello stipendio aggiuntivo che Squillante riceveva da Fininvest per la costante disponibilità al servizio del gruppo: lo attesta un’impressionante sequenza di contabili bancarie svizzere sul passaggio di 434.404 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) dal conto Ferrido (All Iberian, cioè Fininvest) al conto Mercier (Previti) al conto Rowena (Squillante), il 5 marzo 1991. Due bonifici diretti, della stessa identica cifra, nel giro di un’ora e mezza, siglati con il riferimento cifrato “Orologio”. Previti, sulle prime, parla di un semplice errore della banca. Poi cambia piú volte versione. All Iberian è la tesoreria occulta del Biscione e bonifica decine di miliardi di lire sui conti svizzeri Polifemo e Ferrido, gestiti dal cassiere centrale Fininvest, Giuseppino Scabini. Da dove arrivano i soldi? Da tre diversi sistemi. Anzitutto dai bonifici della lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria. Poi, dall’aprile 1991, dal contante versato dalla Diba Cambi di Lugano: il denaro proveniva da due diverse operazioni effettuate grazie alla Fiduciaria Orefici di Milano. La prima è l’operazione «Bica-Rovares», condotta dal gruppo Berlusconi con l’immobiliarista Renato Della Valle, che frutta una ventina di miliardi; la seconda è strettamente legata al «mandato 500»: un mandato personale del Cavaliere aperto presso la Fiduciaria Orefici e utilizzato per acquistare 91 miliardi in Cct. I titoli di Stato vengono poi monetizzati a San Marino e il contante viene consegnato a Milano 2 a Scabini. Parte di questi soldi (18 miliardi circa) finiscono sui conti esteri del gruppo. A portarli in Svizzera provvede lo spallone Alfredo Bossert, che li consegna alla Diba Cambi di Lugano. Insomma, i conti esteri di All Iberian dai quali partono i versamenti ai giudici (ma anche 23 miliardi a Craxi) sono alimentati da denaro della Fininvest e –come ammettono i suoi stessi difensori - «dal patrimonio personale di Silvio Berlusconi». E allora come può il Cavaliere non saperne nulla?
Una partita craxian-berlusconianaLa provvista del bonifico “Orologio” All Iberian-Previti-Squillante proviene da un altro conto del gruppo: il Polifemo, sempre gestito da Scabini. Il 1° marzo 1991, un venerdí, Polifemo riceve da Diba Cambi un accredito di 316.800.000 lire. Il denaro è giunto in Svizzera in contanti quattro giorni prima, il 26 febbraio, direttamente da palazzo Donatello a Milano 2 (sede Fininvest), trasportato dagli uomini di Bossert (la somma non fa parte della provvista creata col «mandato 500», che sarà operativo solo dal luglio 1991). Il lunedí successivo, 4 marzo, quei 316 e rotti milioni permettono a Polifemo di disporre il bonifico di 434.404 dollari a Ferrido (sempre All Iberian), dando cosí il via alla trafila che, attraverso Previti, approda al conto di destinazione finale: Squillante. Insomma, Polifemo gira 2 miliardi a Previti e (tra febbraio e marzo ’91) 10 miliardi a Craxi. Nello stesso periodo Previti riceve un’altra provvista (2,7 miliardi) che utilizza in parte per girare a Pacifico i soldi necessari (425 milioni) a comprare la sentenza del giudice Vittorio Metta che annulla il lodo Mondadori e regala la casa editrice a Berlusconi: un altro affare che sta molto a cuore a Craxi. Nella primavera ’91 dunque Berlusconi completa l’occupazione dei media e paga il politico, gli avvocati e i giudici che l’hanno aiutato. La sequenza temporale ricostruita dall’accusa è impressionante. Il 14 febbraio ’91 Previti versa 425 milioni al giudice Metta tramite Pacifico. Il 6 marzo ’91 bonifica 500 milioni a Squillante. Il 16 aprile ’91, ancora tramite Pacifico, dirotta 500 milioni sul conto «Master 811» di Verde (poi assolto). Sempre con fondi Fininvest.Non potendo negare i versamenti plurimiliardari a Previti in barba al fisco, Berlusconi li spiega cosí: «Normalissime parcelle professionali”. Ma non esiste una sola fattura che le dimostri. E d’altronde: se quei soldi – come dice la difesa berlusconiana – erano «patrimonio personale di Berlusconi», che c’entrano con le parcelle? Berlusconi pagava le parcelle agli avvocati del gruppo di tasca propria? Assurdo. Ultima perla. Dice Berlusconi che «da uno di quei conti vengono effettuati da Fininvest una serie di acconti ai vari studi legali del gruppo, fra cui lo studio Previti». Ma altri studi non ne risultano: Polifemo finanzia solo l’avvocato Previti e poi Craxi. Anche Craxi era un legale del gruppo Fininvest? Beh, in un certo senso…
Il fatti non sono più previsti dalla legge come reato". Con questa formula i giudici della I sezione penale del Tribunale di Milano hanno prosciolto Silvio Berlusconi dall'accusa di falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier, infatti, risalivano alla fine degli anni Ottanta. All'inizio dell'udienza, durata meno di un quarto d'ora, l'accusa aveva chiesto la prescrizione, mentre la difesa aveva sollecitato i giudici ad un verdetto di proscioglimento perché i fatti non costituiscono più reato. Era stato, infatti, proprio durante il governo Berlusconi che il falso in bilancio era stato derubricato. Una interpretazione, quest'ultima, che è stata accolta dai giudici. I fatti contestati all'ex premier risalivano al periodo che va dal 1986 al 1989, e, quindi, sarebbe comunque state coperti dalla prescrizione. I giudici, come detto, hanno però deciso di prosciogliere Berlusconi perché il fatto non è più previsto come reato, invece che dichiarare la prescrizione, come richiesto dal pm Ilda Boccassini. Il procedimento in cui Berlusconi era imputato di falso in bilancio era stato stralciato dal troncone principale del processo Sme, in quanto i giudici avevano investito la Corte europea affinché valutasse la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie. La Corte europea aveva deciso però di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli Paesi. "Dopo sei anni è stata pronunciata una sentenza che il Tribunale e la Procura avevano cercato in ogni modo di evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di Giustizia europea", ha commentato l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore insieme al collega Gaetano Pecorella di Silvio Berlusconi. La legge che depenalizza il falso in bilancio è stata una delle prime cosiddette "leggi ad personam" approvate dal passato governo Berlusconi. Il provvedimento è diventato infatti operativo già dal gennaio 2002 grazie a un decreto varato a tempo di record dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Le fattispecie di minore gravità del falso in bilancio - spiegava il Guardasigilli - sono state depenalizzate e saranno punite con sanzioni amministrative in linea con l'attuale tendenza a limitare ai casi realmente gravi l'intervento penale". Lo scorso ottobre la Casazione aveva chiuso definitivamente un altro troncone del procedimento Sme a carico di Silvio Berlusconi assolvendolo dalle accuse di corruzione nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La posizione del leader di Forza Italia era stata stralciata da quella degli altri sei imputati, compresi il senatore Cesare Previti e il giudice Squillante, in seguito all'approvazione del "Lodo Schifani", un'altra delle cosiddette "leggi ad personam" (successivamente dichiarata incostituzionale) che introduceva l'immunita per le cinque più alte cariche dello Stato.
MILANO - Silvio Berlusconi è stato assolto nel processo stralcio per la vicenda Sme. Il pm Ilda Boccassini aveva chiesto che fosse dichiarata la prescrizione per il reato di falso in bilancio relativo alle attività della Fininvest negli anni 1986-1989 di cui era accusato l'ex premier. I suoi difensori, Nicolò Ghedini e Gaetano Pecorella, aveva invece chiesto l´assoluzione perché il fatto non è più rubricato come reato, dopo la modifica della normativa sul falso in bilancio nell´aprile 2002.
SENTENZA-LAMPO - La sentenza di assoluzione è stata letta dopo 5 minuti di camera di consiglio dai giudici della prima sezione penale presieduti da Antonella Bertoja. Il tribunale ha pronunciato il non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, accogliendo così la richiesta della difesa di Berlusconi. Complessivamente l'udienza è durata circa un quarto d'ora.
STRALCIATO - Il capitolo Sme in questione era stato separato dal troncone principale - in cui Berlusconi è stato assolto dall'accusa di corruzione in atti giudiziari - perché i giudici si erano rivolti alla Corte europea per chiedere di valutare la corrispondenza tra la normativa italiana e le direttive comunitarie. A ottobre la Cassazione ha confermato l'assoluzione per Berlusconi, dopo che il 27 aprile l'ex premier era stato assolto con formula piena dalla Corte di Appello di Milano.
«IN RITARDO» - «Una sentenza che arriva in ritardo di sei anni, alla fine di un processo che la Procura e il Tribunale di Milano avevano fatto di tutto per evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di giustizia europea - commenta l'avvocato Ghedini -. I giudici europei e la Corte Costituzionale avevano detto che la modifica di legge dell´aprile del 2002 era corretta e rispondente alle direttive comunitarie per cui a Milano sono stati costretti, sia pure in ritardo, a celebrare un processo scomodo che è finito come doveva finire».
RUSSO SPENA - «L´assoluzione di Berlusconi dall´accusa di falso in bilancio era scontata: la legge che abolisce il reato se l´era fatta, come molte altre, su misura». Parole di Giovanni Russo Spena, capogruppo di Prc al Senato. «Il governo di centrosinistra - aggiunge - stava reintroducendo il reato di falso in bilancio con il decreto sicurezza, il mondo giuridico e gli imprenditori onesti infatti chiedevano proprio questo ed è ovvio che, se Berlusconi vince le elezioni, falsificare i bilanci delle aziende diventerà uno sport nazionale».
Il programma di Berlusconi: colpire al cuore giustizia e informazione- di Giuseppe Giulietti
Il punto 2: un regalo ai veri criminali - di Ugo Dinello
Non pregiudicare le indagini e il diritto di cronaca - Intervista a Luca Palamara (Segretario generale Anm) - di Patton
La sua proposta è una legge incostituzionale- Intervista a Cesare Salvi
di Marco Travaglio
Se non fosse l’ingrato che è, il Cainano erigerebbe a sue spese un monumento equestre al centrosinistra, che per la seconda volta gli riconsegna il Paese esattamente come lui l’aveva lasciato. Almeno per i settori che gl’interessano, cioè la giustizia e l’informazione. Pareva brutto cambiare qualcosa, c’era il rischio di offenderlo. Ieri, per esempio, la giustizia ha dimostrato che, volendo, può essere rapida, fulminea: un quarto d’ora di udienza, cinque minuti di camera di consiglio, poi la sentenza del processo Sme-Ariosto bis per i falsi in bilancio Fininvest connessi alle mazzette pagate al giudice Squillante. “Il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, nel senso che l’imputato l’ha depenalizzato.Il processo era l’ultima coda del filone “toghe sporche” aperto dalla Procura di Milano nell’estate del 1995 in seguito alla testimonianza di Stefania Ariosto. E riguardava i falsi in bilancio contestati al Cavaliere, come titolare del gruppo Fininvest, per far uscire clandestinamente dalle casse delle società estere il denaro necessario a corrompere, o comunque a pagare, alcuni magistrati che stavano sul libro paga del Biscione. Inizialmente il processo Sme-Ariosto era uno solo e vedeva imputati per corruzione giudiziaria Berlusconi, i suoi avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico e i giudici Filippo Verde (per la presunta sentenza venduta sul caso Sme del 1988) e Renato Squillante (per una tangente di 434 mila dollari del 1991); in più Berlusconi rispondeva anche di falso in bilancio. Poi, nel febbraio 2002, il suo governo depenalizzò di fatto i reati contabili, fissando soglie di non punibilità così alte da sanare cifre stratosferiche di fondi neri. Su richiesta della Procura, il Tribunale stralciò il capitolo del falso in bilancio e ricorse contro la nuova legge dinanzi alla Corte di giustizia europea, che però lasciò ai giudici italiani la decisione se applicare la legge italiana o quella (più rigida e prevalente) comunitaria. Intanto, nel processo principale, Previti, Pacifico e Squillante se la cavano con la prescrizione, solo Verde viene assolto. E così Berlusconi, ma solo per insufficienza di prove.
Le accuseResta, omai sul binario morto, il processo sul falso in bilancio che s’è chiuso ieri. Nel capo d’imputazione si legge che “Berlusconi Silvio, in concorso con gli altri amministratori e dirigenti delle spa Fininvest ed Istifi, in esecuzione di un unico disegno criminoso, quale presidente della spa Fininvest e azionista di riferimento dell’omonimo gruppo, fraudolentemente concorreva a esporre nei bilanci di esercizio delle precitate società, relativi agli anni 1986/’87, ‘88, ‘89, nonché nelle relazioni allegate ai bilanci e nelle altre comunicazioni sociali, notizie false e incomplete sulle condizioni economiche delle medesime: operando perché Istifi gestisse la tesoreria del gruppo in modo tale da non consentire l’attribuzione e la ricostruzione delle operazioni finanziarie finalizzate a creare provviste di contanti nonché l’effettivo impiego in operazioni riservate ed illecite ed anche per l’esecuzione dei pagamenti di cui ai capi precedenti (le presunte tangenti ai giudici Squillante e Verde, ndr); creando, attraverso operazioni eseguite presso la Fiduciaria Orefici di Milano, delle disponibilità extracontabili utilizzate per operazioni riservate e illecite nonché per eseguire i pagamenti di cui ai capo che precedono; cosí occultando, nelle diverse comunicazioni sociali, sia la creazione di disponibilità finanziarie, sia il loro impiego, sia l’esistenza di società correlate e di posizioni fiduciarie riferibili alle precitate società (nonché gli impegni per la loro capitalizzazione, i costi relativi e le plusvalenze realizzate)”. Indipendentemente dalla conclusione dei processi, i versamenti in nero della Fininvest sono documentali e incontestabili. I primi risalgono al 1988, poco dopo la sentenza di Cassazione che chiuse la causa civile sulla mancata cessione, nel 1985, della Sme dall’Iri di Prodi alla Buitoni di De Benedetti per l’azione di disturbo inscenata dal trio Berlusconi-Barilla-Ferrero (Iar) su ordine di Bettino Craxi. Il 2 maggio e il 26 luglio 1988, da un conto svizzero di Pietro Barilla, partono due bonifici: il primo di 750 milioni, il secondo di 1 miliardo di lire, entrambi diretti al conto Qasar Business aperto presso la Sbt di Bellinzona dall’avvocato Pacifico. I 750 milioni vengono ritirati in contanti da Pacifico, che li porta in Italia e – secondo l’accusa – ne consegnati una parte (200 milioni) brevi manu al giudice Verde, che nel 1986 ha sentenziato a favore della Iar (che però viene assolto: manca la prova dell’ ultimo passaggio). Il miliardo invece lascia tracce documentali fino al termine del suo percorso: il 29 luglio ’88 Pacifico ne bonifica 850 milioni al conto Mercier di Previti e 100 milioni al conto Rowena di Squillante, trattenendone solo 50 per sè. Perché tutto quel denaro targato Barilla-Berlusconi (soci nella Iar) approda – secondo i pm - sui conti di due magistrati e di due avvocati che l’imprenditore parmigiano non conosce e che non hanno mai lavorato per lui? Perché mai il socio di Berlusconi dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch’egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare?
Il bonifico OrologioC’è poi il versamento del 1991, sganciato dall’affare Sme, ma rientrante – per l’accusa – nello stipendio aggiuntivo che Squillante riceveva da Fininvest per la costante disponibilità al servizio del gruppo: lo attesta un’impressionante sequenza di contabili bancarie svizzere sul passaggio di 434.404 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) dal conto Ferrido (All Iberian, cioè Fininvest) al conto Mercier (Previti) al conto Rowena (Squillante), il 5 marzo 1991. Due bonifici diretti, della stessa identica cifra, nel giro di un’ora e mezza, siglati con il riferimento cifrato “Orologio”. Previti, sulle prime, parla di un semplice errore della banca. Poi cambia piú volte versione. All Iberian è la tesoreria occulta del Biscione e bonifica decine di miliardi di lire sui conti svizzeri Polifemo e Ferrido, gestiti dal cassiere centrale Fininvest, Giuseppino Scabini. Da dove arrivano i soldi? Da tre diversi sistemi. Anzitutto dai bonifici della lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria. Poi, dall’aprile 1991, dal contante versato dalla Diba Cambi di Lugano: il denaro proveniva da due diverse operazioni effettuate grazie alla Fiduciaria Orefici di Milano. La prima è l’operazione «Bica-Rovares», condotta dal gruppo Berlusconi con l’immobiliarista Renato Della Valle, che frutta una ventina di miliardi; la seconda è strettamente legata al «mandato 500»: un mandato personale del Cavaliere aperto presso la Fiduciaria Orefici e utilizzato per acquistare 91 miliardi in Cct. I titoli di Stato vengono poi monetizzati a San Marino e il contante viene consegnato a Milano 2 a Scabini. Parte di questi soldi (18 miliardi circa) finiscono sui conti esteri del gruppo. A portarli in Svizzera provvede lo spallone Alfredo Bossert, che li consegna alla Diba Cambi di Lugano. Insomma, i conti esteri di All Iberian dai quali partono i versamenti ai giudici (ma anche 23 miliardi a Craxi) sono alimentati da denaro della Fininvest e –come ammettono i suoi stessi difensori - «dal patrimonio personale di Silvio Berlusconi». E allora come può il Cavaliere non saperne nulla?
Una partita craxian-berlusconianaLa provvista del bonifico “Orologio” All Iberian-Previti-Squillante proviene da un altro conto del gruppo: il Polifemo, sempre gestito da Scabini. Il 1° marzo 1991, un venerdí, Polifemo riceve da Diba Cambi un accredito di 316.800.000 lire. Il denaro è giunto in Svizzera in contanti quattro giorni prima, il 26 febbraio, direttamente da palazzo Donatello a Milano 2 (sede Fininvest), trasportato dagli uomini di Bossert (la somma non fa parte della provvista creata col «mandato 500», che sarà operativo solo dal luglio 1991). Il lunedí successivo, 4 marzo, quei 316 e rotti milioni permettono a Polifemo di disporre il bonifico di 434.404 dollari a Ferrido (sempre All Iberian), dando cosí il via alla trafila che, attraverso Previti, approda al conto di destinazione finale: Squillante. Insomma, Polifemo gira 2 miliardi a Previti e (tra febbraio e marzo ’91) 10 miliardi a Craxi. Nello stesso periodo Previti riceve un’altra provvista (2,7 miliardi) che utilizza in parte per girare a Pacifico i soldi necessari (425 milioni) a comprare la sentenza del giudice Vittorio Metta che annulla il lodo Mondadori e regala la casa editrice a Berlusconi: un altro affare che sta molto a cuore a Craxi. Nella primavera ’91 dunque Berlusconi completa l’occupazione dei media e paga il politico, gli avvocati e i giudici che l’hanno aiutato. La sequenza temporale ricostruita dall’accusa è impressionante. Il 14 febbraio ’91 Previti versa 425 milioni al giudice Metta tramite Pacifico. Il 6 marzo ’91 bonifica 500 milioni a Squillante. Il 16 aprile ’91, ancora tramite Pacifico, dirotta 500 milioni sul conto «Master 811» di Verde (poi assolto). Sempre con fondi Fininvest.Non potendo negare i versamenti plurimiliardari a Previti in barba al fisco, Berlusconi li spiega cosí: «Normalissime parcelle professionali”. Ma non esiste una sola fattura che le dimostri. E d’altronde: se quei soldi – come dice la difesa berlusconiana – erano «patrimonio personale di Berlusconi», che c’entrano con le parcelle? Berlusconi pagava le parcelle agli avvocati del gruppo di tasca propria? Assurdo. Ultima perla. Dice Berlusconi che «da uno di quei conti vengono effettuati da Fininvest una serie di acconti ai vari studi legali del gruppo, fra cui lo studio Previti». Ma altri studi non ne risultano: Polifemo finanzia solo l’avvocato Previti e poi Craxi. Anche Craxi era un legale del gruppo Fininvest? Beh, in un certo senso…
Il fatti non sono più previsti dalla legge come reato". Con questa formula i giudici della I sezione penale del Tribunale di Milano hanno prosciolto Silvio Berlusconi dall'accusa di falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier, infatti, risalivano alla fine degli anni Ottanta. All'inizio dell'udienza, durata meno di un quarto d'ora, l'accusa aveva chiesto la prescrizione, mentre la difesa aveva sollecitato i giudici ad un verdetto di proscioglimento perché i fatti non costituiscono più reato. Era stato, infatti, proprio durante il governo Berlusconi che il falso in bilancio era stato derubricato. Una interpretazione, quest'ultima, che è stata accolta dai giudici. I fatti contestati all'ex premier risalivano al periodo che va dal 1986 al 1989, e, quindi, sarebbe comunque state coperti dalla prescrizione. I giudici, come detto, hanno però deciso di prosciogliere Berlusconi perché il fatto non è più previsto come reato, invece che dichiarare la prescrizione, come richiesto dal pm Ilda Boccassini. Il procedimento in cui Berlusconi era imputato di falso in bilancio era stato stralciato dal troncone principale del processo Sme, in quanto i giudici avevano investito la Corte europea affinché valutasse la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie. La Corte europea aveva deciso però di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli Paesi. "Dopo sei anni è stata pronunciata una sentenza che il Tribunale e la Procura avevano cercato in ogni modo di evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di Giustizia europea", ha commentato l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore insieme al collega Gaetano Pecorella di Silvio Berlusconi. La legge che depenalizza il falso in bilancio è stata una delle prime cosiddette "leggi ad personam" approvate dal passato governo Berlusconi. Il provvedimento è diventato infatti operativo già dal gennaio 2002 grazie a un decreto varato a tempo di record dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Le fattispecie di minore gravità del falso in bilancio - spiegava il Guardasigilli - sono state depenalizzate e saranno punite con sanzioni amministrative in linea con l'attuale tendenza a limitare ai casi realmente gravi l'intervento penale". Lo scorso ottobre la Casazione aveva chiuso definitivamente un altro troncone del procedimento Sme a carico di Silvio Berlusconi assolvendolo dalle accuse di corruzione nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La posizione del leader di Forza Italia era stata stralciata da quella degli altri sei imputati, compresi il senatore Cesare Previti e il giudice Squillante, in seguito all'approvazione del "Lodo Schifani", un'altra delle cosiddette "leggi ad personam" (successivamente dichiarata incostituzionale) che introduceva l'immunita per le cinque più alte cariche dello Stato.
MILANO - Silvio Berlusconi è stato assolto nel processo stralcio per la vicenda Sme. Il pm Ilda Boccassini aveva chiesto che fosse dichiarata la prescrizione per il reato di falso in bilancio relativo alle attività della Fininvest negli anni 1986-1989 di cui era accusato l'ex premier. I suoi difensori, Nicolò Ghedini e Gaetano Pecorella, aveva invece chiesto l´assoluzione perché il fatto non è più rubricato come reato, dopo la modifica della normativa sul falso in bilancio nell´aprile 2002.
SENTENZA-LAMPO - La sentenza di assoluzione è stata letta dopo 5 minuti di camera di consiglio dai giudici della prima sezione penale presieduti da Antonella Bertoja. Il tribunale ha pronunciato il non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, accogliendo così la richiesta della difesa di Berlusconi. Complessivamente l'udienza è durata circa un quarto d'ora.
STRALCIATO - Il capitolo Sme in questione era stato separato dal troncone principale - in cui Berlusconi è stato assolto dall'accusa di corruzione in atti giudiziari - perché i giudici si erano rivolti alla Corte europea per chiedere di valutare la corrispondenza tra la normativa italiana e le direttive comunitarie. A ottobre la Cassazione ha confermato l'assoluzione per Berlusconi, dopo che il 27 aprile l'ex premier era stato assolto con formula piena dalla Corte di Appello di Milano.
«IN RITARDO» - «Una sentenza che arriva in ritardo di sei anni, alla fine di un processo che la Procura e il Tribunale di Milano avevano fatto di tutto per evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di giustizia europea - commenta l'avvocato Ghedini -. I giudici europei e la Corte Costituzionale avevano detto che la modifica di legge dell´aprile del 2002 era corretta e rispondente alle direttive comunitarie per cui a Milano sono stati costretti, sia pure in ritardo, a celebrare un processo scomodo che è finito come doveva finire».
RUSSO SPENA - «L´assoluzione di Berlusconi dall´accusa di falso in bilancio era scontata: la legge che abolisce il reato se l´era fatta, come molte altre, su misura». Parole di Giovanni Russo Spena, capogruppo di Prc al Senato. «Il governo di centrosinistra - aggiunge - stava reintroducendo il reato di falso in bilancio con il decreto sicurezza, il mondo giuridico e gli imprenditori onesti infatti chiedevano proprio questo ed è ovvio che, se Berlusconi vince le elezioni, falsificare i bilanci delle aziende diventerà uno sport nazionale».
Il programma di Berlusconi: colpire al cuore giustizia e informazione- di Giuseppe Giulietti
Il punto 2: un regalo ai veri criminali - di Ugo Dinello
Non pregiudicare le indagini e il diritto di cronaca - Intervista a Luca Palamara (Segretario generale Anm) - di Patton
La sua proposta è una legge incostituzionale- Intervista a Cesare Salvi
Saturday, February 02, 2008
Totò Cuffaro - Comprereste un'auto usata da quest'uomo?
Thomas Schael - Asl Crotone - Cacciato per sostituirlo con Peppino Biamonte che ora è stato arrestato - Malasanità e Politica
http://npacalabria.wordpress.com/
I motivi della mia cacciata, l’ ex dg dell’ Asl di Crotone presenta il conto alla politicaPosted Gennaio 31, 2008 by Piero FerrariCategories: Calabria, Italia, Malapolitica, Malasanita' in Calabria, Politica, Problemi, Riflessioni, Sanita' in Calabria, il degrado calabrese
Una lunga lettera per esprimere amarezza. La scrive l’ ex direttore generale dell’ Asl di Crotone , Thomas Schael alla luce dell’ ultima inchiesta giudiziaria che si è abbattuta sulla sanita’ calabrese. Il manager tedesco vuota il sacco e racconta tutto quello che è accaduto nei due anni che ha diretto l’Asl di Crotone per poi essere sostituito da Peppino Biamonte da lunedi’ agli arresti domiciliari. Dopo la nomina racconta l’ ex dg per eliminare eventuali comportamenti illeciti sono state attivate numerose collaborazioni con le forze dell’ ordine e con la Procura della Repubblica. Schael ammette di aver scoperto un disavanzo pregresso per la sola Asl di Crotone di quasi 70 milioni di euro non dichiarato nei bilanci di esercizio fino al proprio insediamento. <<>>. Scheal ammette di aver licenziato tre dipendnti assunti senza concorso pubblico. E forse qualche santo padrone politico si è sentito delegittimato con questo atto “barbarico” visto che le raccomandazioni politiche a sistemare qualcuno non sono mancate. Su questa vicenda il manager fa riferimento ad una nota della Cgil che svela come Pepino Biamonte abbia assunto recentemente a suo avviso, in modo illegittimo , quattro dipendenti a tempo determinato all’ Asl di Crotone. <<>>. <<>>. <<>>. <<>>. << Ammetto di avere chiuso transizioni legali per parecchi milioni di Euro facendo l’ interesse pubblico. Forse qualche politico era abituato ad essere coinvolto nelle trattative per far pensare ai beneficiari che per ottenere il proprio diritto bisogna cercare la disponibilita’ politica. Adriano Mollo. Il Quotidiano della Calabria. Ritengo che il titolo ed il contenuto di tale articolo non meritino ulteriori commenti aggiuntivi. Piero Ferrari segretario regionale del Nuovo Partito D’Azione della Calabria e della Basilicata
I motivi della mia cacciata, l’ ex dg dell’ Asl di Crotone presenta il conto alla politicaPosted Gennaio 31, 2008 by Piero FerrariCategories: Calabria, Italia, Malapolitica, Malasanita' in Calabria, Politica, Problemi, Riflessioni, Sanita' in Calabria, il degrado calabrese
Una lunga lettera per esprimere amarezza. La scrive l’ ex direttore generale dell’ Asl di Crotone , Thomas Schael alla luce dell’ ultima inchiesta giudiziaria che si è abbattuta sulla sanita’ calabrese. Il manager tedesco vuota il sacco e racconta tutto quello che è accaduto nei due anni che ha diretto l’Asl di Crotone per poi essere sostituito da Peppino Biamonte da lunedi’ agli arresti domiciliari. Dopo la nomina racconta l’ ex dg per eliminare eventuali comportamenti illeciti sono state attivate numerose collaborazioni con le forze dell’ ordine e con la Procura della Repubblica. Schael ammette di aver scoperto un disavanzo pregresso per la sola Asl di Crotone di quasi 70 milioni di euro non dichiarato nei bilanci di esercizio fino al proprio insediamento. <<>>. Scheal ammette di aver licenziato tre dipendnti assunti senza concorso pubblico. E forse qualche santo padrone politico si è sentito delegittimato con questo atto “barbarico” visto che le raccomandazioni politiche a sistemare qualcuno non sono mancate. Su questa vicenda il manager fa riferimento ad una nota della Cgil che svela come Pepino Biamonte abbia assunto recentemente a suo avviso, in modo illegittimo , quattro dipendenti a tempo determinato all’ Asl di Crotone. <<>>. <<>>. <<>>. <<>>. << Ammetto di avere chiuso transizioni legali per parecchi milioni di Euro facendo l’ interesse pubblico. Forse qualche politico era abituato ad essere coinvolto nelle trattative per far pensare ai beneficiari che per ottenere il proprio diritto bisogna cercare la disponibilita’ politica. Adriano Mollo. Il Quotidiano della Calabria. Ritengo che il titolo ed il contenuto di tale articolo non meritino ulteriori commenti aggiuntivi. Piero Ferrari segretario regionale del Nuovo Partito D’Azione della Calabria e della Basilicata
Friday, February 01, 2008
Italy's government
Unsteady as she goes
Jan 31st 2008From The Economist print edition
Italy has enough problems already: does it really need Silvio Berlusconi once again?
AP
ITALY is notorious for its perpetually changing governments. Between 1981 and 2007, it had 16 prime ministers, including some repeats, compared with Britain's four. Yet lately Italian politics had acquired a patina of stability. Under pressure from voters, its fissiparous parties had coalesced into recognisable blocks of right and left. The centre-right government of Silvio Berlusconi (pictured right) served a full five-year term; when the media tycoon was defeated at the polls by the centre-left in April 2006, the hope was that Romano Prodi (on the left) would also see out his term. It was not to be.
The upheaval triggered two weeks ago, when a tiny centrist party quit Mr Prodi's coalition, unseated the prime minister when he lost a vote of confidence in the Senate. After consultations, the Italian president this week has asked Franco Marini, speaker of the Senate, to form a short-term interim government. But Mr Berlusconi, hungry for power, is baying for an election as soon as possible. His commanding lead in the opinion polls suggests he would win, and return to Palazzo Chigi just 20 months after he left it (see article).
Everybody agrees that the last thing that Italy needs is another succession of fractious, short-lived governments. It could just about get away with them when growth was strong, and vibrant private enterprise, especially in the north, more than made up for a shoddy (and often corrupt) public sector and the sclerotic Mezzogiorno. More recently, though, Italy's economic prospects have worsened. It is the slowest-growing big economy in Europe; the south is barely moving forward at all. Spain has just overtaken Italy by the measure of GDP per head, say the statisticians. Italy's competitive sparkle has dimmed. And the OECD, a think-tank, finds that it has the most heavily regulated economy in the rich world.
The country, in short, desperately needs both stable government and painful economic reform. The question is how to get these things. In 2001 voters overwhelmingly backed Mr Berlusconi (rejecting this paper's view that his chequered business history made him unfit to lead Italy). But he squandered his opportunity, using up political capital to protect his media interests and fend off judicial cases against him, and dithering over economic reform. After a disastrous term, he left behind his own “poison pill”: a law to change Italy's electoral system back to one based largely on proportional representation. By the time Mr Prodi lost his confidence vote, no fewer than 39 political parties were represented in parliament.
The poison has thus done for Mr Prodi. Ironically, it is also hurting Mr Berlusconi, who finds it increasingly hard to control small parties in his coalition. Both sides agree that electoral reform is needed to strengthen big parties at the expense of little ones. Yet the smalls will resist, making it hard for any interim government to get a new electoral law passed. So the odds are that Italy is heading for a fresh election under the existing system. Mr Berlusconi seems likely to win—although Mr Prodi's successor as centre-left leader, Walter Veltroni, a popular mayor of Rome, may whittle down his lead.
In search of liberalismo
New election rules are needed if stable government is to return. But Italy's deeper problem is that so few of its political leaders are genuinely liberalising reformers. Mr Prodi's government cut public borrowing and improved tax collection, but proved too timid to take on the vested interests that always resist change. It left the public sector mostly unreformed. As the renewed Naples rubbish crisis confirms, it failed utterly to sort out the Mezzogiorno. A younger and more energetic Mr Veltroni might be bolder, but his reform credentials are untested and his grip on any centre-left coalition may prove no firmer than Mr Prodi's.
There is not a glimmer of hope that a returning Mr Berlusconi would prove a better bet than Mr Prodi. Judging by his record, he might be worse, starting by undoing the Prodi government's successful tax-collecting reforms. Mr Berlusconi has made clear that his first priority would again be to protect his own interests, by making it harder to use evidence from wiretapping in court cases. However successful he has been in business, he remains unfit for the job he covets. Poor Italy.
Unsteady as she goes
Jan 31st 2008From The Economist print edition
Italy has enough problems already: does it really need Silvio Berlusconi once again?
AP
ITALY is notorious for its perpetually changing governments. Between 1981 and 2007, it had 16 prime ministers, including some repeats, compared with Britain's four. Yet lately Italian politics had acquired a patina of stability. Under pressure from voters, its fissiparous parties had coalesced into recognisable blocks of right and left. The centre-right government of Silvio Berlusconi (pictured right) served a full five-year term; when the media tycoon was defeated at the polls by the centre-left in April 2006, the hope was that Romano Prodi (on the left) would also see out his term. It was not to be.
The upheaval triggered two weeks ago, when a tiny centrist party quit Mr Prodi's coalition, unseated the prime minister when he lost a vote of confidence in the Senate. After consultations, the Italian president this week has asked Franco Marini, speaker of the Senate, to form a short-term interim government. But Mr Berlusconi, hungry for power, is baying for an election as soon as possible. His commanding lead in the opinion polls suggests he would win, and return to Palazzo Chigi just 20 months after he left it (see article).
Everybody agrees that the last thing that Italy needs is another succession of fractious, short-lived governments. It could just about get away with them when growth was strong, and vibrant private enterprise, especially in the north, more than made up for a shoddy (and often corrupt) public sector and the sclerotic Mezzogiorno. More recently, though, Italy's economic prospects have worsened. It is the slowest-growing big economy in Europe; the south is barely moving forward at all. Spain has just overtaken Italy by the measure of GDP per head, say the statisticians. Italy's competitive sparkle has dimmed. And the OECD, a think-tank, finds that it has the most heavily regulated economy in the rich world.
The country, in short, desperately needs both stable government and painful economic reform. The question is how to get these things. In 2001 voters overwhelmingly backed Mr Berlusconi (rejecting this paper's view that his chequered business history made him unfit to lead Italy). But he squandered his opportunity, using up political capital to protect his media interests and fend off judicial cases against him, and dithering over economic reform. After a disastrous term, he left behind his own “poison pill”: a law to change Italy's electoral system back to one based largely on proportional representation. By the time Mr Prodi lost his confidence vote, no fewer than 39 political parties were represented in parliament.
The poison has thus done for Mr Prodi. Ironically, it is also hurting Mr Berlusconi, who finds it increasingly hard to control small parties in his coalition. Both sides agree that electoral reform is needed to strengthen big parties at the expense of little ones. Yet the smalls will resist, making it hard for any interim government to get a new electoral law passed. So the odds are that Italy is heading for a fresh election under the existing system. Mr Berlusconi seems likely to win—although Mr Prodi's successor as centre-left leader, Walter Veltroni, a popular mayor of Rome, may whittle down his lead.
In search of liberalismo
New election rules are needed if stable government is to return. But Italy's deeper problem is that so few of its political leaders are genuinely liberalising reformers. Mr Prodi's government cut public borrowing and improved tax collection, but proved too timid to take on the vested interests that always resist change. It left the public sector mostly unreformed. As the renewed Naples rubbish crisis confirms, it failed utterly to sort out the Mezzogiorno. A younger and more energetic Mr Veltroni might be bolder, but his reform credentials are untested and his grip on any centre-left coalition may prove no firmer than Mr Prodi's.
There is not a glimmer of hope that a returning Mr Berlusconi would prove a better bet than Mr Prodi. Judging by his record, he might be worse, starting by undoing the Prodi government's successful tax-collecting reforms. Mr Berlusconi has made clear that his first priority would again be to protect his own interests, by making it harder to use evidence from wiretapping in court cases. However successful he has been in business, he remains unfit for the job he covets. Poor Italy.
Subscribe to:
Posts (Atom)