In fondo Raffaele Lombardo farebbe più notizia se non esistesse affatto. Tanto la sua figura politica, contrariamente al clamore che ha sollevato, appare scontata e priva di novità. Lombardo è infatti un democristiano, ha una sua corrente e un sacco di clientele, eccelle nel fare la guerra ai suoi compagni di partito e di coalizione, vive per il potere, ha avuto problemi con la giustizia, si professa autonomista come molti siciliani e tanto per non smentirsi, si pettina con il riporto. Che c’è di nuovo in uno così? Vale la pena occuparsi di lui solo perché conferma come la politica nel tempo del berlusconismo sia ormai il luogo ideale per nascondersi o trovare un alibi. Una fiction in cui tutto o quasi è fasullo, pretestuoso e strumentale e dove la moneta cattiva scaccia quella buona. Un vialone notturno e di periferia pieno di trans, un palcoscenico per maschere morte che serve solo a nascondere l’avidità di potere e il cinismo irresponsabile. La bufala più grossa che Lombardo, insieme al suo compagno di avventura Totò Cuffaro, cerca di rifilarci è che il suo Mpa, il Movimento per l’autonomia, sia una spina nel fianco del berlusconismo. In realtà Lombardo per il Cavaliere è stata una vera e propria grazia di Dio («l’avrei voluto ministro della Salute ma lui ha detto di no», ha civettato il premier) perché ora si trova nell’isola come presunto interlocutore forte un politico che finge di porgli condizioni e in realtà si limita a chiedere cose già presenti nel programma della Casa delle libertà sulle quali Berlusconi è perfettamente d’accordo, come il rilancio del turismo, le infrastrutture e il ponte sullo Stretto («l’era del ponte», ha enfaticamente dichiarato Lombardo). Perché l’operazione Lombardo è solo l’ennesimo sortilegio trasformistico della politica meridionale: una volta capito che con Berlusconi si perde, gli intramontabili democristianoni Lombardo & Cuffaro si sono inventati un partitino fata Morgana per accalappiare i voti in libera uscita dal centrodestra, mentre ora stanno raccogliendo nell’isola i resti di quelle formazioni localistiche che con lo sbarramento del 5 per cento non entreranno in Consiglio regionale. Il tutto però senza perdere i contatti con il magnate di Palazzo Chigi che bene o male controlla ancora i cordoni della borsa pubblica. Per il Cavaliere, Lombardo è come il cacio sui maccheroni: l’obiettivo polemico dello psichiatra catanese è il segretario del suo partito, ovvero Marco Follini, detestatissimo da Berlusconi. La vera colpa di Follini è di non averlo fatto diventare ministro della Salute o del Mezzogiorno la scorsa estate, quando il titubante Harry Potter stava meditando se uscire o meno dal governo con i suoi ministri. È in quell’occasione infatti che Lombardo rompe gli indugi e dopo essere tornato a Catania con il bell’abito blu da ministro mestamente incellofanato, decide di marciare contro Roma. Ecco come nasce il nobile neoautonomismo siciliano: da una poltrona negata. L’altra bufala che Lombardo è riuscito a rifilarci è che abbia stravinto le comunali di Catania. In realtà rispetto a cinque anni fa ha perso voti: nel 2000 le sue due liste, quella del Ccd e «Catania Viva», ne hanno presi 19.529, mentre lo scorso 15 maggio Lombardo, con quattro liste, ne ha raccolti 16.231, 3.298 in meno, mentre il centrodestra ha perso il 7 per cento a vantaggio del centrosinistra. Inoltre la Giunta Scapagnini alla prima vera prova politica, la nomina degli assessori, si è persa per strada Alleanza nazionale, che ha rifiutato sdegnosamente i due assessorati che il sindaco le ha offerto (ne voleva tre) scegliendo l’appoggio esterno, mentre il vorace caimano autonomista ha spalancato le fauci e si è pappato quattro poltrone, una per lista. Come inizio non c’è male. Ideali chiari. Un’altra balla di Lombardo è che il Movimento per l’autonomia siciliana (Mpa) sia nato sulla spinta di una nobile idealità, una progettualità «alta». In realtà che l’Mpa sia sbocciato in fretta e furia lo provano i continui rabberciamenti programmatici: Lombardo ha inizialmente parlato di un partito regionale, poi di un partito regionalistico a valenza nazionale che doveva coinvolgere gli inconsapevoli Formigoni e Fitto (che hanno smentito), poi di una sorta di Lega del Sud, quindi di una semplice corrente e infine si è inventato il paragone con la Csu bavarese che si federa con il partito nazionale. Da qualche settimana ha iniziato a orbitare con circospezione intorno alla nuova Dc di Rotondi, Cutrufo e Pomicino, il quale il 25 giugno scorso, durante la prima assemblea costituente all’Hotel Summit di Roma, ha paragonato Mani pulite al fascismo. Pomicino & Co. ora reclamano più Stato nell’economia e il ritorno al proporzionale, premessa per una nuova politica democratica, dice lui, in realtà corollario indispensabile di un voto controllato e dunque clientelare. Comprensibile che uno come Lombardo si trovi bene in questa compagnia. Ma per non dare l’impressione che lui, l’autonomista, ha già deciso senza nemmeno sentire i suoi, solo a settembre sapremo se Mpa si federa con la nuova Dc e per ora si è accontentato di aggiungere al glorioso scudo crociato, la dicitura «Per le autonomie». Una cosa tuttavia per ora sembra certa: don Raffaele resta ancorato al centrodestra e, dopo aver dimostrato che l’Udc in Sicilia è lui, vorrebbe convincere Berlusconi a non continuare a pensare solo a iddu. Che Sua Emittenza gradisca il duo Lombardo/Cuffaro lo si capisce anche dalla nomina avvenuta il 23 aprile di Francesco Saverio Romano a sottosegretario al Welfare. A Romano, Udc siculo e fedelissimo di Totò vasa vasa, i giudici di Palermo hanno recentemente archiviato l’accusa di concorso in associazione mafiosa ed estorsione. Secondo il pubblico ministero, Romano aveva chiesto telefonicamente a un altro imputato dell’Udc, Domenico Miceli, un incontro con il medico Giuseppe Guttadauro, boss mafioso del quartiere palermitano di Brancaccio, ma non è stato possibile provare se poi l’incontro ci fosse stato davvero. D’altra parte Berlusconi ha sempre avuto un occhio di riguardo per le proteste pseudoautonomiste siciliane. Basti pensare a Sicilia libera, il partito che Leoluca Bagarella cerca di fondare nel 1993 con il consenso di suo cognato Totò Riina, affidando l’incarico all’uomo d’onore Tullio Cannella. Il partito viene presentato a Catania nel novembre dello stesso anno da Nino Strano, attuale parlamentare di An, che spara ad alzo zero contro il consociativismo romano e la corruzione, ispirandosi anche lui a Bossi. È proprio Berlusconi che nel 1994 incarica il dirigente di Publitalia in Sicilia, Gianfranco Miccichè, di prendere contatti con Sicilia libera, come lo stesso Miccichè ha raccontato ai giudici del processo Dell’Utri. Poi però l’exploit di Forza Italia segna la fine del partito perché Cosa nostra, come ha raccontato Cannella divenuto collaboratore di giustizia, sceglie di abbandonare Sicilia libera che a Catania aveva appena avuto un ottimo risultato, preferendo appoggiare gli azzurri. Ora Lombardo e Cuffaro, dopo aver attaccato per anni proprio Forza Italia, vagheggiano di fondare insieme al viceministro Miccichè il partito Forza Sicilia. La verità è che il federalismo e il supposto autonomismo dell’Mpa altro non sono che un espediente per rifarsi una verginità e che il vero ideale di Lombardo e Cuffaro è la convinzione, tutta democristiana, che solo la gestione del potere consenta di conservarlo nelle proprie mani. Insomma il potere per il potere. L’unica differenza è che adesso ci tocca sentire Lombardo che scimmiotta l’antipolitica nordista e borbotta a Vespa che «la gente è stufa del teatrino della politica»! (Panorama, 26 maggio 2005). Peccato che una volta andati al potere, i neo Dc ci facciano assistere proprio al solito teatrino al quale siamo stati abituati da mamma Dc: come nell’ultima campagna elettorale etnea, quando la Giunta Scapagnini, per illustrare agli elettori le opere realizzate dalla Giunta, utilizza parte dei generosi finanziamenti concessi da Berlusconi per l’emergenza traffico, sfruttando un articolo della legge opportunamente e non certo disinteressatamente predisposto ad hoc. Una campagna elettorale che ha sollevato parecchi dubbi sulla liceità dei mezzi utilizzati dal centrodestra, tanto che il pubblico ministero catanese Ignazio Fonzo ha aperto un fascicolo giudiziario per voto di scambio. O come quando avvicinandosi le elezioni catanesi, il 2 aprile scorso Lombardo incontra 524 precari e promette loro la stabilizzazione in un ente pubblico della Provincia entro il 30 settembre del 2005 (controlleremo); o come quando nove giorni dopo, insieme a Scapagnini, posa la prima pietra del più grande mercato alimentare del Sud Italia, un’opera da 60 milioni di euro che sarà completata nel 2008 (controlleremo anche questo); o come quando il 16 aprile del 2004, avvicinandosi le elezioni europee, Lombardo se ne esce con i duemila futuri posti di lavoro del centro commerciale Etneapolis. Solidarietà agli amici inquisiti. Quando gli amici democristiani vengono raggiunti da avvisi di garanzia o arrestati in prossimità di elezioni, Lombardo è il primo a parlare di «tempistica sospetta», elargendo poi la sua solidarietà ai molti inquisiti per mafia del suo partito, come Mannino, Borzacchelli, Lo Giudice, Costa ecc. D’altra parte non si ricorda che Lombardo abbia mai espulso dal partito di cui era segretario regionale, l’Udc e prima ancora la Dc, qualche iscritto condannato per mafia. Eppure avrebbe avuto solo l’imbarazzo della scelta. Non meravigli dunque che Lombardo abbia già cominciato a imbarcare nel suo Mpa persone che hanno o hanno avuto qualche grana con la giustizia, come l’ex primo cittadino di Agrigento Roberto Di Mauro, detto «il sindaco degli abusivi», condannato in primo grado nel 2003 a due anni di carcere per truffa, abuso d’ufficio e falso e salvatosi con la prescrizione nel processo per gli abusi edilizi nella Valle dei Templi. O come il consigliere regionale pugliese ex Forza Italia, Simone Brizio, coinvolto nel 2002 con suo padre in una storia di tangenti alla Asl di Taranto. O come l’altro neo adepto, Angelo Paffumi, ex Dc, arrestato per una storia di tangenti nel 1996 quando era sindaco di un paese del messinese. Don Raffaele preferisce infatti aspettare che il tempo, galantuomo, faccia giustizia. Come è accaduto a lui. Arrestato la prima volta il 22 aprile del 1992 e condannato il 5 novembre del 1998 dal Tribunale di Catania a un anno e sei mesi di reclusione per abuso d’ufficio. Secondo i giudici la sua segreteria politica aveva rivelato in anticipo ai candidati risultati poi vincitori i temi di un concorso della Usl 35 di Catania. In quel periodo Lombardo era assessore regionale Dc agli Enti locali e partecipava egli stesso a un concorso per 13 posti di assistente medico bandito sempre dalla Usl 35. Dalle intercettazioni del processo, risultò come secondo i giudici «Giuseppe Salmeri, primario dell’ospedale Biancavilla (membro del Comitato dei garanti della Usl 35, ndr), e Lombardo erano uniti da enormi interessi in concorsi e pratiche di enti pubblici».Una passione, quella per i medici e le strutture sanitarie pubbliche, che ha accompagnato lo psichiatra forense Lombardo per tutta la sua carriera politica. Ma dopo la condanna in primo grado, Lombardo fu definitivamente assolto. La seconda volta è stato arrestato il 23 luglio del 1994 con l’accusa di corruzione, insieme a tre big della politica siciliana di quegli anni: l’ex presidente democristiano della Regione Siciliana Rino Nicolosi, l’ex ministro socialista della Difesa Salvo Andò e l’ex deputato nazionale della Dc, Antonino Drago, leader degli andreottiani della Sicilia orientale. Tutti gli arrestati, secondo i magistrati, avevano fatto ottenere all’ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini un appalto pubblico da 48 miliardi di lire per la fornitura di pasti all’ospedale Vittorio Emanuele di Catania, in cambio di tangenti per cinque miliardi di lire. Lombardo inoltre era accusato dai giudici anche di associazione per delinquere, facendo parte, insieme ai tre big politici, di un comitato d’affari che gestiva la Usl 35. Il 17 marzo del 2000 Pellegrini ha patteggiato una condanna a due anni di carcere per corruzione, ma Lombardo e tutti gli altri sono stati assolti dalla stessa accusa perché, secondo i giudici catanesi, i cinque miliardi che l’ex presidente dell’Inter ha pagato non erano tangenti ma finanziamento illecito dei partiti, un reato ormai prescritto. Lombardo e gli altri sono stati poi assolti anche dall’accusa di associazione a delinquere. Per i giudici catanesi il comitato d’affari non era mai esistito. Un carico di cariche. Un’altra caratteristica che lo lega alla democristianeria è che Lombardo passa il suo tempo a fare rimpasti anziché governare: nominato presidente della provincia regionale di Catania nel luglio 2003, nel marzo successivo già redistribuisce 14 nuove deleghe, mentre il 16 aprile imbarca quattro nuovi assessori e il 6 agosto dello stesso anno ancora altri due. La verità è che Lombardo è il continuatore di tutti gli atavici difettacci della politica siciliana e il suo Mpa è un escamotage gattopardesco per continuare con il solito malgoverno: avete mai sentito Lombardo tuonare contro i fastosi sprechi della Regione siciliana, contro il deficit della Sanità per esempio, cresciuto del 43 per cento in quattro anni di governo del suo amico Cuffaro? Una Sanità con il record europeo di strutture private convenzionate, oltre 2.500. Opportunismo, ambiguità e ipocrisia continuano infatti a essere le costanti della politica dei neodemocristiani: Lombardo, dapprima ha consolidato una straordinaria e ben amministrata rete di clientele grazie all’Udc, è stato eletto segretario regionale, consigliere e assessore regionale, vicesindaco, deputato europeo, presidente della Provincia, presidente dell’Unione delle province regionali siciliane e poi, una volta fatto il pieno di voti e clientele, si è liberato del vessatorio giogo romano scoprendosi autonomista e federalista. Senza però avere la decenza di dimettersi dalle cariche ottenute grazie al suo ex partito. Perché prima di reinventarsi autonomista a nome e per conto dell’Udc, Lombardo ha ottenuto il controllo di tutta la Sanità siciliana; ha fatto nominare parecchi manager delle Asl; ha dettato al suo sodale Totò Cuffaro la nomina dell’assessore regionale alla Sanità e di quello dei Lavori pubblici; ha deciso i nomi di diversi direttori generali della Regione siciliana, dei commissari dei consorzi di bonifica, dei vertici di Sicilia acque e dell’Ato rifiuti, dei vertici della Fondazione Banco di Sicilia, degli assessori provinciali e comunali di Catania, delle aziende partecipate del Comune di Catania, degli istituti autonomi delle case popolari, delle cooperative e della Protezione civile. E poi come se niente fosse si è messo a rinverdire i miti del passato autonomista: «La Sicilia, da Gaio Verre in poi si lascia impunemente saccheggiare di tutto: dal grano, alla foresta fino al consenso e alla rappresentanza politica» (Ansa, 6 marzo 2005). Contro quello stesso partito romano, l’Udc, con il quale in realtà condivide i pochi sparuti progetti di fondo: rifare la Dc, cambiare in senso proporzionale il sistema elettorale e aumentare l’influenza del Sud nella politica italiana. Come? Rispolverando gli argomenti dell’autonomismo separatista di Finocchiaro Aprile (personaggio di livello nettamente superiore a Lombardo) che nel dopoguerra reclamava per la Sicilia privilegi fiscali e «zone industriali franche», esattamente come Lombardo, che chiede a Berlusconi la cosiddetta fiscalità di vantaggio o la defiscalizzazione della benzina. Con la differenza che Lombardo butta alle ortiche l’aspetto marcatamente liberale e antiprotezionistico, oltreché antifascista, che quel movimento aveva e rispolvera quell’eterno «milazzismo» presente nella politica siciliana e meridionale, ammalate di trasversalismo.Dal duo Lombardo-Cuffaro aspettatevi pure qualche tentativo di alleanza con il centrosinistra, soprattutto adesso che è dato vincente. Basti pensare che il 27 maggio, Lombardo e il suo fedele seguace Giovanni Pistorio, assessore regionale alla Sanità, hanno tenuto a San Giovanni La Punta due comizi, Lombardo con il centrodestra, Pistorio con il centrosinistra. E Lombardo non ha disdegnato un incontro con Piero Fassino, accompagnato dal segretario regionale dei Ds Angelo Capodicasa. Non si sa mai alle politiche dovesse vincere il centrosinistra… Quanto sia credibile poi la lotta contro il centralismo romano di uno come Lombardo, lo prova la gestione padronale, autoritaria e solitaria che ha sempre fatto del partito in Sicilia, da tempo oggetto di critiche da parte della corrente dei cosiddetti quarantenni isolani dell’Udc. Lo scorso anno Lombardo ha lanciato un anatema politico contro quattro liste civiche nate da una costola dell’Udc di Caltanissetta per le elezioni comunali, proprio lui che un anno dopo a Catania metterà insieme quattro liste civiche contro il suo stesso partito, utilizzando le clientele sviluppate nella sanità e nel facilmente manipolabile precariato catanese. D’altronde chi lo conosce bene, come il deputato nazionale dell’Udc Filippo Drago, dice di lui: «Lombardo è l’artefice della ricostruzione del peggiore sistema clientelare» (Ansa, 3 marzo 2005). E se lo dice Drago…
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