Tuesday, November 06, 2007

Arrestato il boss Lo Piccolo

Gli inseparabili di Cosa nostraascesa e caduta dei Lo Piccolo
Salvo PalazzoloIl pm: "Il figlio era diventato l´angelo custode del padre"
Da quando in Cosa nostra soffiavano venti di guerra, erano ormai inseparabili. Padre e figlio. Salvatore e Sandro Lo Piccolo. I poliziotti e i magistrati lo sospettavano. Ieri mattina, al culmine del blitz di Giardinello, hanno avuto la conferma: «Probabilmente, il figlio non aveva più lasciato il padre da quando si era saputo che una parte di Cosa nostra, quella capeggiata da Nino Rotolo, avrebbe voluto morto il capomandamento di Tommaso Natale», così ipotizza il sostituto procuratore Gaetano Paci. Sandro non era più soltanto il figlio prediletto, era ormai diventato l´ombra, la scorta. E, soprattutto, un killer pronto a sparare. Per quella che era ormai diventata la sua causa. Interpretata dal suo padre padrino, l´uomo a cui ha dichiarato in lacrime il suo amore mentre entrava in manette dentro la volante della polizia. Eppure, un tempo, Sandro era stato il ragazzo ribelle. Tanto che qualche volta anche il padre era dovuto intervenire. «Io Sandro me lo ricordo - ha rivelato il pentito Isidoro Cracolici, un tempo braccio destro di don Salvatore - diciamo che l´ho svezzato io. Sin da piccolo l´avevo sempre vicino a me. A momenti, ha fatto la latitanza anche lui da bambino». Nel ‘91, Sandro fu fermato per furto: aveva 16 anni. In cella rimase pochissimo. Due anni dopo, fu sospettato di rapina ed estorsione. Era già in carriera. E il padre non era proprio contento allora: Cracolici ha spiegato che «u Nicu», così lo chiamavano, «era un ragazzo molto irrequieto, dedito a liti e scorribande», tanto da prendersi i rimproveri anche di alcuni vecchi uomini d´onore. Ma il crimine si impara presto: poco importa che il primo omicidio di Sandro Lo Piccolo, un ladro che operava senza autorizzazione, rischiò di andare a male perché i killer furono colpiti dalle bottiglie lanciate dai balconi. Quella volta, il padre padrino lo rimproverò sonoramente. Il secondo omicidio fu commesso secondo i canoni del perfetto killer di mafia, questo era stato negli anni Ottanta Salvatore Lo Piccolo. E Sandro stava ormai ripercorrendo le sue gesta criminali. Padre e figlio, poco a poco cominciarono ad essere sempre più uniti. Tutti e due con la comune fama di dongiovanni: «u Vascu», il vecchio è un gran fumatore di Malboro, veste sportivo e sempre all´ultima moda. Non sappiamo se «u Nicu» fuma, ma di certo ama anche lui le buone marche: indossava un bel maglioncino quando cinque anni fa sfuggì ai carabinieri inerpicandosi sui tetti delle ville di via Lanza di Scalea. Il particolare è rimasto nelle relazione di servizio. Gli abiti di lusso raccontano molto di quello che è rimasto per alcuni anni il più giovane fra i padrini di Cosa nostra. Sandro Lo Piccolo mandava un certo Tonino "u curtu" dello Zen a comprargli abiti all´ultima moda. E questa cosa era ritenuta troppo imprudente dagli altri mafiosi. Tonino entrava nei negozi più esclusivi del centro città e comprava per milioni delle vecchie lire. Pantaloni, maglioni, giacche, camicie. Ma niente della sua misura. I poliziotti della squadra mobile capirono presto che quegli abiti così eleganti non erano per lui: chi lo aveva incaricato degli acquisti era proprio Sandro Lo Piccolo.Da quando, però, le indagini avevano stretto il cerchio, il rampollo di Tommaso Natale era diventato prudente. Racconta il pentito Antonino Giuffrè che a Lo Piccolo junior era stata ormai delegata la gestione del business della droga. Il padre lo aveva investito del potere necessario. Ma la vera iniziazione era stata un´altra: anche «u Nicu» poteva infatti vantarsi di avere beffato la giustizia. L´ordine di arresto per i due omicidi fu inizialmente annullato: da allora il giovane boss era latitante. Poi, l´analisi del suo cellulare e di tutti i contatti, svolta dal consulente informatico della Procura, Gioacchino Genchi, ribaltò quell´inchiesta che sembrava destinata all´archiviazione. E in pochi mesi, la corte d´assise decretò l´ergastolo. Lo Piccolo junior e senior erano ormai una cosa sola. E i picciotti li veneravano. Il più fedele era Andrea Adamo, 45 anni, anche lui fra gli arrestati di ieri mattina. Era latitante dal mese di luglio 2007, quando era scattata l´operazione "Gotha". Ufficialmente, era solo un rivenditore di moto, in realtà era uno dei mafiosi più influenti del mandamento di Brancaccio. Anche grazie all´intercessione del suocero, Giuseppe Savoca, nome storico di Cosa nostra. L´altro fedelissimo dei Lo Piccolo padre e figlio era Gaspare Pulizzi, 36 anni, reggente della famiglia di Carini, latitante dal marzo scorso. Tutti si sono chiusi nel silenzio dopo l´arresto.
(06 novembre 2007)

http://espresso.repubblica.it/
Addio a Enzo Biagi
Il giornalista era ricoverato da una decina di giorni in una clinica milanese. «Si è spento con serenità»
MILANO - È morto Enzo Biagi. Il popolare giornalista e scrittore si è spento poco dopo le otto nella clinica Capitanio di Milano, dove era ricoverato da una decina di giorni per problemi polmonari e cardiaci. Al momento del decesso c'erano al capezzale le due figlie, Bice e Carla. A dare la notizia della morte di Biagi è stato il medico Giorgio Massarotti: «Per incarico della famiglia, con estremo dolore, annuncio che il dottor Biagi si è spento con serenità». Poco dopo è arrivato il messaggio di cordoglio del presidente Napolitano: «È scomparsa una grande voce di libertà».L'ARRIVO DELLE FIGLIE - Le due figlie di Biagi erano arrivate in clinica attorno alle 7 e 25. Contrariamente a quanto accaduto nelle sere passate, avevano trascorso la notte nella propria abitazione. Al loro arrivo alla clinica sono immediatamente entrate, senza attardarsi con i giornalisti. «Si è addormentato sereno prima della morte - ha raccontato poi la figlia Bice. - Devo dire che aveva programmato tutto anche per noi, ci ha fatto dormire qualche ora a me e mia sorella, e ci ha aspettate». «Voi e tutti ricorderete Enzo Biagi - ha continuato -, io ricordo mio padre e sono grata a tutti quelli che in questi giorni ci hanno dimostrato tanto bene. Non dico che per noi è una scoperta ma ci ha stupito. Noi siamo i suoi figli, io ho perso un padre e sono solo più sola».
ULTIMO REGALO- Le figlie di Biagi hanno poi raccontato che il padre ha vissuto come un regalo della vita la possibilità di riprendere negli ultimi mesi il proprio lavoro di sempre come giornalista anche televisivo. «Ha avuto dei grandissimi dolori privati, negli ultimi anni, ma la vita gli ha dato un ultimo regalo - ha detto Bice - perché pochi mesi fa ha potuto riprendere, per qualche mese, il lavoro che aveva fatto tutta la vita». Bice, insieme alla sorella Carla, ha voluto ricordare in particolare il periodo trascorso dal padre come partigiano. «Ha sul petto il distintivo di Giustizia e Libertà, era una delle cose a lui più care, di cui parlava di più. Anche questo mi piace ricordare». Bice ha riferito inoltre che l'ultima frase pronunciata lunedì sera da Biagi alle figlie è stata: «Ho tanto bisogno di voi». La figlia Bice ha concluso definendo il papà «una persona per bene e coerente».IL RICOVERO - Biagi, nato nell’agosto del 1920 a Pianaccio di Lizzano in Belvedere, era ricoverato da venerdì 26 ottobre per accertamenti di routine. Successivamente, si era resa necessaria una degenza più lunga per subentrate complicazioni. Nella mattinata di venerdì le condizioni di Biagi si erano aggravate, poiché ai problemi cardiaci si erano aggiunti problemi renali e polmonari. Ma anche questa ennesima crisi era stata superata "combattendo come un leone", come avevano riferito le figlie. Nelle ultime ore, però, la situazione era tornata nuovamente ad aggravarsi. Che la battaglia fosse persa lo avevano sostanzialmente ammesso in questi giorni le stesse figlie, che in questi giorni non hanno mai rifiutato il contatto con la stampa, un mondo nel quale la famiglia Biagi ha una tradizione ben radicata. «La situazione è precipitata» era stato il primo annuncio e poi, con il passare delle ore e dei giorni, «è sempre lucido, determinato, sereno», «c'è stato un lieve miglioramento ma la prognosi resta riservata», «è molto affaticato»: frasi, pronunciate in tempi diversi, più eloquenti di qualsiasi bollettino.
UNA FIBRA FORTE - Non restava che attendere, anche perchè il pessimismo dei medici non lasciava spazio alla possibilità di una ripresa. Eppure Biagi già altre volte era riuscito a superare serie crisi. In una intervista del 2004, all'epoca del suo allontanamento dalla Rai, parlando dei suoi problemi, ricordava di aver fatto «due pneumotoraci» e di aver impiantati «sei by-pass» anche se su di lui avevano pesato, più di quelli, la morte della moglie Lucia, nel febbraio 2002, e della figlia Anna, a soli 47 anni, nel maggio dell'anno successivo. Ma la sua forte fibra aveva resistito a tutto. Proprio per questo, quando si era diffusa la voce del ricovero in clinica di Biagi, dieci giorni fa, sembrava potesse trattarsi di uno dei tanti controlli ai quali periodicamente veniva sottoposto. In realtà era qualcosa di più: la situazione stava degenerando. Era inevitabilmente questione di giorni.I FUNERALI - I funerali avranno luogo giovedì a Pianaccio, il piccolo borgo di Lizzano in Belvedere, sull'appennino bolognese, dove Biagi era nato. La camera ardente è prevista alla clinica Capitanio di Milano, con accesso attraverso l'ingresso di via Quadronno. Resterà aperta per due giorni. Poi, giovedì mattina, il feretro sarà trasferito a Pianaccio per i funerali. Biagi sarà sepolto accanto alla moglie e alla figlia. «Lo portiamo nel posto da dove, come lui diceva, 'Non sono mai partito'».

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Morto un maestro del Giornalismo Italiano : ciao Enzo

Una carriera tra Carta stampata e televisione
Biagi, una vita per il giornalismo
Dagli esordi in Emilia alla direzione del Telegiornale e dell'Europeo. E il lungo rapporto col Corriere
MILANO - Una vita e tante storie. Vissute e raccontate. Tutto iniziò nel 1920 a Lizzano in Belvedere, il paesino in provincia di Bologna dove Enzo Biagi nacque da padre magazziniere e madre casalinga. Sull’Appennino emiliano trascorse l’infanzia e iniziò a sognare, come in Martin Eden di Jack London, di fare il giornalista; mestiere che immaginava come un «vendicatore capace di riparare torti e ingiustizie» e che lo affascinava per la possibilità di viaggiare e scoprire il mondo. Testimone del secolo che come pochi altri ha saputo declinare la sua vocazione al giornalismo in tutti i media - dalla carta stampata, ai libri, alla tv. Una vita che lo ha visto collezionare tanti successi ma anche profondi dolori, dai diversi allontanamenti dalla Rai ai lutti familiari: nel 2002 la perdita della moglie, compagna inseparabile di una vita e l'anno dopo della figlia Anna. Delle sue quattro donne, a consolarlo rimasero la primogenita Bice, che ha seguito le orme paterne, e Carla.
ANTIFASCISTA - Dopo il diploma in ragioneria seguirono gli anni della gavetta al Resto del Carlino. Diventa professionista a soli ventuno anni. Allo scoppio della guerra è richiamato alle armi. Dopo l’8 settembre 1943, per non aderire alla Repubblica di Salò, varca la linea del fronte aggregandosi ai gruppi partigiani attivi sull’Appennino. Il 21 aprile 1945 entra a Bologna con le truppe alleate e annuncia dai microfoni del Pwb la fine della guerra.
ESORDI - Il dopoguerra a Bologna è per Biagi un periodo di intenso lavoro: fonda il settimanale Cronache e il quotidiano Cronache sera. Viene assunto nuovamente a Il Resto del Carlino (in quegli anni Giornale dell’Emilia), ricoprendo il ruolo di inviato e di critico cinematografico. Sono entrati nella storia del giornalismo i suoi articoli sull’inondazione del Polesine. Nel 1951 Biagi aderì al manifesto di Stoccolma contro la bomba atomica e, accusato dal suo editore di «essere un comunista sovversivo», fu allontanato dal Resto del Carlino. Qualche mese dopo, fu assunto da Arnoldo Mondadori di cui diventò in breve tempo direttore trasferendosi per la prima volta a Milano.
IN RAI - È di quegli anni l’inizio del suo rapporto con la televisione, destinato a rafforzarsi e a durare nel tempo. Nel 1961 l’ingresso in Rai, diventa direttore del Telegiornale e inizia quel difficile rapporto con la politica che non lo ha mai abbandonato. Nel 1963 cura la nascita del telegiornale del secondo canale Rai. Nello stesso anno lancia RT, il primo settimanale della televisione italiana. Ma ben presto arrivarono critiche durissime soprattutto dal Psdi di Saragat e dalla destra, che accusò Biagi di essere un comunista. Nel 1963 fu quindi costretto a dimettersi. Ritorna quindi a La Stampa come inviato speciale, scrivendo anche per il Corriere della Sera e per il settimanale L'Europeo. La sua collaborazione con la Rai, riprende nel 1968 quando chiamato dall'allora direttore generale, Ettore Bernabei ritorna alla tv di Stato, per realizzare programmi di approfondimento giornalistico. Tra i più seguiti e innovativi: «Dicono di lei» (1969), una serie di interviste a personaggi famosi, tramite frasi, aforismi, aneddotti sulle loro personalità e «Terza B, facciamo l'appello» (1971). NEI QUOTIDIANI - Biagi alternava l'attività televisiva alla carta stampata. Nel 1971, dopo numerose collaborazioni al Corriere della Sera e al settimanale L'Europeo, fu nominato direttore del Resto del Carlino con l'obiettivo di trasformarlo in un quotidiano nazionale. Il 30 giugno del 1972 fu allontanato dalla direzione del Resto del Carlino e tornò quindi al Corriere della Sera. Nel 1975, pur senza lasciare il Corriere, collaborò con l'amico Indro Montanelli alla creazione del Giornale. DI NUOVO IN RAI - Dal 1977 al 1980, ritorna a collaborare stabilmente alla Rai, conducendo "Proibito" programma in prima serata su Rai Due che trattava temi d'attualità. All'interno del programma guida due cicli d'inchieste internazionali denominati "Douce France" (1978) e "Made in England" (1980). Intanto, dopo lo scandalo della P2 lascia il Corriere della Sera e collabora come editorialista con La Repubblica, quotidiano che lascierà nel 1988, quando ritornerà al Corriere. Nel 1982 conduce la prima serie di "Film Dossier", un programma che attraverso film mirati, punta a coinvolgere lo spettatore, nel 1983, dopo un programma su Rai Tre dedicato ad episodi della seconda guerra mondiale (La guerra e dintorni), inizia a condurre su Rai Uno "Linea Diretta", uno dei suoi programmi più seguiti, che propone l'approfondimento del fatto della settimana, tramite il coinvolgimento dei vari protagonisti. Linea Diretta viene trasmesso fino al 1985 e poi di nuovo nel 1989. Negli anno '90 segue attentamente le vicende di "Mani pulite", con programmi come "Processo al processo su Tangentopoli", (1993) e "Le inchieste di Enzo Biagi" (1993-1994).IL FATTO - Nel 1995 iniziò la trasmissione Il Fatto, un programma di approfondimento dopo il Tg1 sui principali fatti del giorno, di cui Biagi era autore e conduttore. Nel 2004 Il Fatto, che mediamente era seguito da oltre 6milioni di telespettatori, fu nominato da una giuria di giornalisti il miglior programma giornalistico realizzato nei cinquant'anni della Rai. Famose resteranno le interviste a Marcello Mastroianni, a Sofia Loren, a Indro Montanelli e le due realizzate a Roberto Benigni, l'ultima delle quali nel 2001, in piena campagna elettorale: il comico toscano, inevitabilmente, parlò di Silvio Berlusconi e della sua candidatura, commentando a modo suo il conflitto d'interessi e il contratto con gli italiani. L'intervista scatenò roventi polemiche contro Benigni e contro Biagi. Berlusconi lo accusò di avergli fatto perdere un milione e 750 mila voti prima delle elezioni del 2001. Il deputato di An e futuro ministro delle comunicazioni, Maurizio Gasparri, parlando ad un'emittente lombarda, auspicò l'allontanamento dalla Rai dello stesso Biagi.IL CASO BIAGI - Il 18 aprile 2002 l'allora premier Silvio Berlusconi dichiarò nel corso di una conferenza stampa: «La Rai, tornerà ad essere una tv pubblica, cioè di tutti, non partitica, [...] come è stata durante l'occupazione militare della sinistra. L'uso fatto da Biagi, da quel...come si chiama? Ah Santoro e da Luttazzi, è stato veramente criminoso e fatto con i soldi di tutti. Preciso dovere di questa dirigenza sia quello di non permettere più che questo avvenga». Una dichiarazione che passerà alla storia come «Editto bulgaro» a cui Biagi replicò nella puntata del Fatto, dichiarando: «Presidente del Consiglio, non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? [...] Lavoro qui in Rai, dal 1961, ed è la prima volta che un presidente del Consiglio decide il palinsesto [...] Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci». Le trasmissioni del Fatto, proseguirono regolarmente fino alla prima settimana di giugno, quando terminò la stagione. Ma all'inizio della nuova, dopo un lungo tira e molla, la dirigenza Rai, decise di cancellare il programma, dopo settecento puntate.
IL RITORNO IN TV - Invitato anche da Adriano Celentano nel suo Rock Politik in una puntata dedicata alla libertà di stampa assieme a Santoro, Biagi ha però declinato l'offerta: «Non posso ritornare alla rete ammiraglia della Rai fino a quando ci saranno le persone che hanno chiuso il programma e impedito alla mia redazione di lavorare» scrisse sul Corriere nella sua rubrica Strettamente personale in forma di lettera aperta al Molleggiato. Dopo 5 anni di silenzio tv Biagi annunciò il suo ritorno al programma «Che tempo che fa», intervistato per una ventina di minuti da Fabio Fazio. Il 22 aprile 2007, tornato in tv con "RT - Rotocalco Televisivo", ha aperto la trasmissione dicendo: «Buonasera, scusate se sono un po' commosso e, magari, si vede. C'è stato qualche inconveniente tecnico e l'intervallo è durato cinque anni e parlando di resistenza, di quella odierna di chi resiste alla camorra fino alla Resistenza con la R maiuscola, con interviste a chi l'ha vissuta in prima persona».SCRITTORE - Biagi autore prolifico ha vinto numerosi premi, tra cui il Bancarella. Ha scritto più di ottanta libri, tra cui Testimone del tempo, 1970; I come italiani, 1972; La bella vita, 1996, intervista all'attore Marcello Mastroianni; Come si dice amore, 2000 e Storia d'Italia a fumetti. L'ultimo “Era ieri”, un libro di rievocazioni, parte da quelle 842 puntate de Il fatto che sono state il fiore all’occhiello di una lunga carriera. Un successo strepitoso con i suoi sei milioni di ascoltatori, bruscamente chiusa dalla decisione del Presidente del Consiglio Berlusconi nel 2002. Una ferita mai rimarginata.

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