ESERCITO
tangenti per missioni, caso scoppiato a luglio,
indaga la procura
Roma, 15 ott.
La procura della Repubblica di Roma ha aperto un'inchiesta sulla denuncia di alcuni sottufficiali dell'Esercito dei carabinieri i quali in occasione di trasmissioni televisive hanno denunciato che i militari che si erano offerti per andare in missione di pace o di guerra all'estero, dovevano versare una tangente ai loro superiori. L'inchiesta è affidata al pubblico ministero Adelchi D'Ippolito che ipotizza i reati di corruzione e concussione.
È scoppiato nel luglio scorso il caso delle presunte tangenti pagate per poter partecipare alle missioni militari all'estero, sul quale oggi la Procura di Roma ha avviato un'inchiesta affidata al pubblico ministero Adelchi D'Ippolito che ipotizza i reati di corruzione e concussione. A denunciare i fatti, alcuni militari italiani, carabinieri e soldati dell'Esercito. E a raccoglierne le rivelazioni Rai New 24 che mandò in onda un ampio reportage il 29 luglio a firma di Sigfrido Ranucci, nel corso del quale alcuni sottoufficiali dei carabinieri raccontavano di aver presentato senza successo richieste per partecipare alle missioni all'estero e che erano venuti a conoscenza del fatto che »bisognava pagare una o due mensilità per poter andare in Iraq, Bosnia, Kossovo«. Il servizio dava voce anche a un militare dell'esercito operativo a Udine, che era stato costretto a pagare per poter essere trasferito.
Immediata la replica di fonti dello Stato maggiore della Difesa, che ammisero solo l'esistenza di un caso che si era verificato a Motta di Livenza, in provincia di Treviso, relativo ad un ufficiale che aveva chiesto soldi ad un militare in cambio della partecipazione alle missioni all'estero. L'ufficiale, riferirono, era stato scoperto, denunciato alla magistratura militare e processato. E che il giudizio si era concluso con un patteggiamento. Sulla vicenda intervenne anche il maggior generale Vladimiro Alexitch, comandante del contingente italiano in Iraq, sottolineando che non gli risultava nessuna notizia di presunte tangenti per quanto riguardava l'Iraq.«Per quanto mi risulta -tenne a sottolineare- non ci sono stati episodi di questo genere. C'era stato in passato un caso di deviazione prontamente scoperta e repressa. Il responsabile che si voleva far pagare per promuovere l'invio di un militare in missione all'estero ha fatto i conti con la giustizia. Ma se si trattasse di un fenomeno diffuso -aggiunse- dopo la notizia di quest'unico caso sarebbero probabilmente uscite allo scoperto altre vittime. Cosa che non è avvenuta, quindi penso che si tratti di una semplice ombra circoscritta».
L'inchiesta aperta dalla Procura romana si affianca a quella già avviata da tempo dalla Procura militare per aspetti diversi da quelli affidati all'esame di D'Ippolito e ha tratto spunto appunto dall'intervista fatta a luglio scorso dal maresciallo dell'Esercito Domenico Leggero durante una trasmissione televisa e successivamente anche da un maresciallo dei carabinieri. Le loro versioni dei fatti sono state confermate anche da altri due sottufficiali dell'Arma , che incappucciati confermarono tutte le accuse recentemente durante il programma 'Le Jenè, spiegando come avevano fatto i loro colleghi che chi intendeva partecipare alle missioni di pace o di guerra all'estero era costretto a versare ai suoi superiori una somma di danaro calcolata sulla base della diaria che veniva percepita a seconda del tipo di missione. Il magistrato ha già acquisito un'ampia documentazione comprese le dichiarazioni fatte in televisione. Inoltre sono stati già sentiti come testimoni diversi militari che hanno confermato le accuse. (Adnkronos).
http://www.articolo21.com/news.php?id=3575
"I swear to God, if I were a piano player or an actor or something and all those dopes thought I was terrific, I'd hate it. I wouldn't even want them to clap for me. People always clap for the wrong things". "(Holden Caulfield/JDSalinger - The catcher in the rye)
Thursday, November 25, 2004
IRAQ :100.000 uccisi
Umanità Nova, numero 35 del 7 novembre 2004, Anno 84
Iraq: il "Bisturi" USA
Contabilità di un massacro
Ma questi inglesi non si smentiscono proprio mai?!
Nonostante siano lontani cugini, non hanno ancora digerito, a quanto pare, la sollevazione delle colonie inglesi in America, che portò, più di duecento anni orsono, alla dichiarazione d'Indipendenza e alla nascita degli attuali Stati Uniti. E nonostante oggi ne siano diventati i più fedeli alleati - o vassalli? -, sono sempre loro, i figli della perfida Albione, a fare i peggiori dispetti alla superpotenza americana. Una vendetta postuma, tanto più se coronata da una attestazione di superiorità morale, non guasta mai.
E così, dopo aver denunciato per primi, alcuni mesi fa, le menzogne sulle famigerate armi di distruzione di massa del kattivo satrapo levantino, inventate per giustificare "democraticamente" l'intervento armato della coalizione, ecco gli agghiaccianti dati sulle conseguenze della guerra in Iraq, fornitici in questi giorni da una delle più prestigiose e autorevoli riviste scientifiche del mondo: l'inglese (appunto) "The Lancet".
In base a proiezioni statistiche, tra l'altro per difetto, eseguite da una équipe di studiosi americani ed iracheni, è stato possibile calcolare il numero reale (sempre per difetto) dei civili, in gran parte vecchi donne e bambini, uccisi dall'inizio della guerra dai bombardamenti alleati. Dati, nella freddezza delle cifre, semplicemente terrificanti. Se fino ad ora, infatti, le stime più pessimistiche parlavano di circa trentamila vittime, i nuovi studi, pubblicati con velenosa meticolosità da Il Bisturi - The Lancet, contabilizzano almeno centomila morti, centomila "morti extra" rispetto a quelli che ci si aspetterebbe in un paese in pace. Centomila, si badi bene, senza contare quelli fisiologici in una guerra che si rispetti: poliziotti, militari, spie, collaborazionisti e fiancheggiatori vari.
Come intervento umanitario, non si poteva certo chiedere di più!
Con l'apparente asetticità dei dati statistici, ma con l'evidente intento di stigmatizzare ferocemente il feroce intervento angloamericano, la rivista inglese spiega che centomila civili uccisi in 18 mesi, in un paese come l'Iraq, significa che un iracheno ha 58 probabilità in più di morire rispetto a prima dell'intervento, che il numero dei decessi ogni mille abitanti per anno è passato da 5 a 12,3, che il tasso di mortalità per la sventurata popolazione irachena è superiore di una volta e mezzo al periodo anteguerra. E che quello infantile, già altissimo in conseguenza del precedente embargo, è passato da 29 a 57 ogni mille. E si tenga presente che questi studi statistici non hanno volutamente preso in considerazione la zona di Falluja, perché in tal caso i calcoli, vista la situazione particolarmente drammatica di quella città, avrebbero avuto risultati semplicemente sconvolgenti.
Fra i motivi solitamente addotti per giustificare una guerra, qualsiasi guerra ma a maggior ragione queste guerre "umanitarie" oggi così di moda, c'è quello di creare migliori condizioni di vita e benessere per popolazioni altrimenti soggette al pugno di ferro del dittatore di turno. E poco importa che queste popolazioni soggette si guardino bene, solitamente, dal richiedere l'intervento "amico". Fatto sta che in questi ultimi lustri, con una progressione preoccupante, le grandi democrazie occidentali hanno offerto sempre più spesso queste famose "migliori condizioni di vita" a popolazioni che, a nostro modesto parere, avrebbero volentieri evitato di pagare con morte e distruzione quel loro andare a stare meglio. Iraq, Balcani, Somalia, Afganistan e ancora Iraq, e chissà cosa ancora ci aspetta, sono lì a ricordarcelo, a mostrare che non è con l'intervento armato delle potenze straniere che si costruisce la libertà dei popoli.
Saremo degli inguaribili nostalgici, legati a una visione retrò delle dinamiche sociali e delle motivazioni ideali che dovrebbero, a parer nostro, muovere la storia, ma non riusciamo a rassegnarci all'idea che pace, benessere e libertà siano merci di consumo, reclamizzabili con ingegnosi spot pubblicitari, utili per giustificare le mortifere politiche di potenza degli stati-canaglia di turno, Stati Uniti d'America, Inghilterra e Italia in testa. E altrettanto non riusciamo a rassegnarci a una visione del mondo impostata sulla prevalenza di stati-gendarme cui è concesso celare i propri interessi egemonici dietro la sordida facciata della più pelosa delle ingerenze "umanitarie". Come pure non riusciamo a rassegnarci all'eterna favola dei poteri buoni impegnati in una lotta epocale contro i poteri cattivi; all'infame escamotage dello scontro fra civiltà e culture differenti, le une cui tutto è lecito, le altre destinate a soccombere a causa di pretese inferiorità; a una realtà fatta di violenza e sopraffazione, nella quale il quotidiano massacro di fanciulli e bambini diventa solo uno sgradevole incidente di percorso.
Ricorre, in questi giorni, l'anniversario della "vittoria", di quando, 86 anni fa, seicentomila italiani si fecero ammazzare per difendere e favorire gli interessi del nostro nascente capitalismo. Di quando, nelle campagne europee, milioni di soldati e civili si "immolarono in olocausto" sull'altare del nazionalismo e del profitto. "Mai più guerre", si disse in seguito. E "mai più guerre" fu nuovamente gridato dai popoli stremati quando, nel 1945, la bomba di Hiroshima suggellò il più immane massacro di tutti i tempi. "Mai più guerre" vorremmo ancora gridare noi, mai più vittime innocenti sepolte sotto le case bombardate o soldati mandati a uccidere e a farsi ammazzare. "Mai più guerre" vorremmo gridare, convinti che l'amore per la vita e per un'esistenza in pace dovrebbe rendere collettivo questo nostro grido. Ma consapevoli anche che solo un processo di liberazione che parta dal basso, che sappia sbarazzarsi del cappio del potere politico ed economico, delle lusinghe del nazionalismo, delle menzogne delle credenze religiose, renderà i popoli finalmente fratelli e le guerre il lontano "ricordo di infame passato".
Massimo Ortalli
Iraq: il "Bisturi" USA
Contabilità di un massacro
Ma questi inglesi non si smentiscono proprio mai?!
Nonostante siano lontani cugini, non hanno ancora digerito, a quanto pare, la sollevazione delle colonie inglesi in America, che portò, più di duecento anni orsono, alla dichiarazione d'Indipendenza e alla nascita degli attuali Stati Uniti. E nonostante oggi ne siano diventati i più fedeli alleati - o vassalli? -, sono sempre loro, i figli della perfida Albione, a fare i peggiori dispetti alla superpotenza americana. Una vendetta postuma, tanto più se coronata da una attestazione di superiorità morale, non guasta mai.
E così, dopo aver denunciato per primi, alcuni mesi fa, le menzogne sulle famigerate armi di distruzione di massa del kattivo satrapo levantino, inventate per giustificare "democraticamente" l'intervento armato della coalizione, ecco gli agghiaccianti dati sulle conseguenze della guerra in Iraq, fornitici in questi giorni da una delle più prestigiose e autorevoli riviste scientifiche del mondo: l'inglese (appunto) "The Lancet".
In base a proiezioni statistiche, tra l'altro per difetto, eseguite da una équipe di studiosi americani ed iracheni, è stato possibile calcolare il numero reale (sempre per difetto) dei civili, in gran parte vecchi donne e bambini, uccisi dall'inizio della guerra dai bombardamenti alleati. Dati, nella freddezza delle cifre, semplicemente terrificanti. Se fino ad ora, infatti, le stime più pessimistiche parlavano di circa trentamila vittime, i nuovi studi, pubblicati con velenosa meticolosità da Il Bisturi - The Lancet, contabilizzano almeno centomila morti, centomila "morti extra" rispetto a quelli che ci si aspetterebbe in un paese in pace. Centomila, si badi bene, senza contare quelli fisiologici in una guerra che si rispetti: poliziotti, militari, spie, collaborazionisti e fiancheggiatori vari.
Come intervento umanitario, non si poteva certo chiedere di più!
Con l'apparente asetticità dei dati statistici, ma con l'evidente intento di stigmatizzare ferocemente il feroce intervento angloamericano, la rivista inglese spiega che centomila civili uccisi in 18 mesi, in un paese come l'Iraq, significa che un iracheno ha 58 probabilità in più di morire rispetto a prima dell'intervento, che il numero dei decessi ogni mille abitanti per anno è passato da 5 a 12,3, che il tasso di mortalità per la sventurata popolazione irachena è superiore di una volta e mezzo al periodo anteguerra. E che quello infantile, già altissimo in conseguenza del precedente embargo, è passato da 29 a 57 ogni mille. E si tenga presente che questi studi statistici non hanno volutamente preso in considerazione la zona di Falluja, perché in tal caso i calcoli, vista la situazione particolarmente drammatica di quella città, avrebbero avuto risultati semplicemente sconvolgenti.
Fra i motivi solitamente addotti per giustificare una guerra, qualsiasi guerra ma a maggior ragione queste guerre "umanitarie" oggi così di moda, c'è quello di creare migliori condizioni di vita e benessere per popolazioni altrimenti soggette al pugno di ferro del dittatore di turno. E poco importa che queste popolazioni soggette si guardino bene, solitamente, dal richiedere l'intervento "amico". Fatto sta che in questi ultimi lustri, con una progressione preoccupante, le grandi democrazie occidentali hanno offerto sempre più spesso queste famose "migliori condizioni di vita" a popolazioni che, a nostro modesto parere, avrebbero volentieri evitato di pagare con morte e distruzione quel loro andare a stare meglio. Iraq, Balcani, Somalia, Afganistan e ancora Iraq, e chissà cosa ancora ci aspetta, sono lì a ricordarcelo, a mostrare che non è con l'intervento armato delle potenze straniere che si costruisce la libertà dei popoli.
Saremo degli inguaribili nostalgici, legati a una visione retrò delle dinamiche sociali e delle motivazioni ideali che dovrebbero, a parer nostro, muovere la storia, ma non riusciamo a rassegnarci all'idea che pace, benessere e libertà siano merci di consumo, reclamizzabili con ingegnosi spot pubblicitari, utili per giustificare le mortifere politiche di potenza degli stati-canaglia di turno, Stati Uniti d'America, Inghilterra e Italia in testa. E altrettanto non riusciamo a rassegnarci a una visione del mondo impostata sulla prevalenza di stati-gendarme cui è concesso celare i propri interessi egemonici dietro la sordida facciata della più pelosa delle ingerenze "umanitarie". Come pure non riusciamo a rassegnarci all'eterna favola dei poteri buoni impegnati in una lotta epocale contro i poteri cattivi; all'infame escamotage dello scontro fra civiltà e culture differenti, le une cui tutto è lecito, le altre destinate a soccombere a causa di pretese inferiorità; a una realtà fatta di violenza e sopraffazione, nella quale il quotidiano massacro di fanciulli e bambini diventa solo uno sgradevole incidente di percorso.
Ricorre, in questi giorni, l'anniversario della "vittoria", di quando, 86 anni fa, seicentomila italiani si fecero ammazzare per difendere e favorire gli interessi del nostro nascente capitalismo. Di quando, nelle campagne europee, milioni di soldati e civili si "immolarono in olocausto" sull'altare del nazionalismo e del profitto. "Mai più guerre", si disse in seguito. E "mai più guerre" fu nuovamente gridato dai popoli stremati quando, nel 1945, la bomba di Hiroshima suggellò il più immane massacro di tutti i tempi. "Mai più guerre" vorremmo ancora gridare noi, mai più vittime innocenti sepolte sotto le case bombardate o soldati mandati a uccidere e a farsi ammazzare. "Mai più guerre" vorremmo gridare, convinti che l'amore per la vita e per un'esistenza in pace dovrebbe rendere collettivo questo nostro grido. Ma consapevoli anche che solo un processo di liberazione che parta dal basso, che sappia sbarazzarsi del cappio del potere politico ed economico, delle lusinghe del nazionalismo, delle menzogne delle credenze religiose, renderà i popoli finalmente fratelli e le guerre il lontano "ricordo di infame passato".
Massimo Ortalli
Berlusconi e Legge "salva Previti"
La Repubblica
L´AGGRESSIONE ALLE SENTENZE
24-11-2004
A pensarci bene, sono molto coerenti. C´è una lucida, anche se viziosa, razionalità in quanto sta per accadere in Parlamento con la legge «Salva Previti!». Ricordiamo brevemente. Per liberare dai grattacapi milanesi se stesso e Cesare Previti, amico, sodale, avvocato, onorevole e ministro di giustizia "ombra", Silvio Berlusconi ha prima modificato il reato (il falso in bilancio).Poi, con la legge sulle rogatorie, ha voluto annichilire le prove. Non è stato sufficiente per mandare per aria il lavoro della procura di Milano. E allora sono state manipolate le regole del processo con la legge Schifani. Bersaglio mancato. La manovra è stata sventata dalla Suprema Corte che ha cancellato la legge perché incostituzionale. Al rosario delle manomissioni del principio dell´uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, mancava all´appello - dopo il reato, la prova e il processo - la sentenza. L´aggressione alle sentenze si è consumata ieri alla Camera, in commissione giustizia. Come è naturale, una sentenza non si può cancellare. Ma se ne possono cancellare gli effetti, ovvero la condanna. Come? Estinguendo, come si dice, il reato. In una parola, cancellandolo, considerandolo morto. E´ una mossa meno complicata di quanto si possa immaginare. Se non si può modificare l´esito di un processo - faccenda alquanto ardua: come si fa a gettare nel cestino la corruzione magari aggravata dalla circostanza che il corrotto è un giudice? - lo si può aggirare. Per esempio, definendo dei tempi di prescrizione più ridotti. Se passa troppo tempo dal giorno della consumazione del reato, il reato non c´è più: questa è la prescrizione. Dunque, se si accorciano i tempi della prescrizione anche il reato di corruzione in atti giudiziari può evaporare. Finora la corruzione in atti giudiziari - reato per il quale Cesare Previti è stato condannato, in un processo, a undici anni di carcere e, in un altro, per corruzione semplice a cinque - si estingueva in quindici anni (dieci più cinque). La commissione giustizia della Camera propone ora di cambiare le regole del gioco. Senza farsi imprigionare dai tecnicismi, è sufficiente dire che i dieci anni più cinque, diventano otto più due. Il massimo della pena prevista da quel reato (otto anni) aumentata per le circostanze aggravanti di un quarto. Dunque otto più due, dieci anni. Non ci crederete, ma il processo milanese ha accertato che l´ultima manovra corruttiva di Cesare Previti (affare Imi-Sir) risale al giugno del 1994 (Previti si preparava a diventare ministro della Difesa e intascava una ventina di miliardi in Svizzera). Dunque, dieci anni e cinque mesi fa. Conclusione. Se la legge dovesse essere approvata come è stata confezionata oggi, il reato di corruzione in atti giudiziari di Cesare Previti, e manco a dirlo anche quello (ancora a giudizio) di Silvio Berlusconi, sarebbe estinto già da cinque mesi. Alla Camera, comunque, non vogliono proprio correre rischi. Si devono essere detti che bisogna garantire a Cesare Previti un´ulteriore opportunità nel caso l´operazione fallisse, la manipolazione saltasse e i tempi della prescrizione restassero quel che sono oggi. Il relatore della legge Luigi Vitali ha infilato così nella proposta un piccolo emendamento. Prevede che gli imputati condannati che abbiano compiuto i 70 anni, «a meno che non siano stati dichiarati delinquenti abituali o professionali», non faranno un solo giorno di carcere. Sconteranno la pena a casa. Anche in questo caso, sarete increduli nell´apprendere che, soltanto per un caso, Cesare Previti ha compiuto i settant´anni il mese scorso, il 21 ottobre. E´ la legge «Salva Previti!», anche se i burattinai e i burattini di quest´ultima manovra lo smentiscono. Al di là del disegno legislativo che si adatta alla figura di Previti come una giacca tagliata da Caraceni, ci sono due circostanze che lo confermano. La prima la offre, forse inconsapevolmente, proprio il relatore della legge. A frittata fatta, Luigi Vitali salta fuori con una dichiarazione a prima vista senza senso. Dice Vitali: «Ieri Silvio Berlusconi ha inaugurato il nuovo corso, ricatti non li accettiamo». Non si comprende che cosa c´entra il presidente del Consiglio. Il disegno di legge presentato alla commissione giustizia è formalmente un´iniziativa parlamentare, non una mossa del governo. E allora, perché invocare Berlusconi a meno che non sia di Berlusconi la sollecitazione a togliere a se stesso e a Previti le castagne dal fuoco? E´ un´ipotesi che trova una conferma nella seconda circostanza. Questa doveva essere la settimana del regolamento di conti con la magistratura. La riforma dell´ordinamento giudiziario è all´ultimo giro di boa, alla Camera. E´ la legge a cui il governo e la maggioranza hanno affidato, come sostengono le toghe, la vendetta contro pubblici ministeri e giudici. Ordine giudiziario fortemente gerarchizzato, umiliazione del consiglio superiore della magistratura, invasività dei poteri del ministro e delle commissioni di esame e di disciplina che egli contribuirà a formare. Sembrava fatta. Il ministro di giustizia addirittura sperava di chiudere la partita oggi togliendosi la soddisfazione di vincerla mentre la magistratura scioperava per la terza volta nella legislatura. Così non sarà. Il condono ambientale con la fiducia fa slittare il voto alla prossima settimana. Ma Palazzo Chigi ha fatto sapere che prima dell´ordinamento giudiziario bisognerà approvare la «Salva Previti!». Anche qui con molta coerenza perché prima la fai franca, eviti il pericolo e poi ti vendichi di chi te lo ha procurato. Quindi, prima si salva Previti, poi si puniscono i magistrati. Coerente. Come le riforme di giustizia del governo. Anche se, favorendo uno (Previti), sono riforme che salvano moltissimi e per reati socialmente minacciosi come la rapina, l´usura, la bancarotta... Ma questo a Palazzo Chigi deve essere apparso un insignificante dettaglio.
GIUSEPPE D´AVANZO
L´AGGRESSIONE ALLE SENTENZE
24-11-2004
A pensarci bene, sono molto coerenti. C´è una lucida, anche se viziosa, razionalità in quanto sta per accadere in Parlamento con la legge «Salva Previti!». Ricordiamo brevemente. Per liberare dai grattacapi milanesi se stesso e Cesare Previti, amico, sodale, avvocato, onorevole e ministro di giustizia "ombra", Silvio Berlusconi ha prima modificato il reato (il falso in bilancio).Poi, con la legge sulle rogatorie, ha voluto annichilire le prove. Non è stato sufficiente per mandare per aria il lavoro della procura di Milano. E allora sono state manipolate le regole del processo con la legge Schifani. Bersaglio mancato. La manovra è stata sventata dalla Suprema Corte che ha cancellato la legge perché incostituzionale. Al rosario delle manomissioni del principio dell´uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, mancava all´appello - dopo il reato, la prova e il processo - la sentenza. L´aggressione alle sentenze si è consumata ieri alla Camera, in commissione giustizia. Come è naturale, una sentenza non si può cancellare. Ma se ne possono cancellare gli effetti, ovvero la condanna. Come? Estinguendo, come si dice, il reato. In una parola, cancellandolo, considerandolo morto. E´ una mossa meno complicata di quanto si possa immaginare. Se non si può modificare l´esito di un processo - faccenda alquanto ardua: come si fa a gettare nel cestino la corruzione magari aggravata dalla circostanza che il corrotto è un giudice? - lo si può aggirare. Per esempio, definendo dei tempi di prescrizione più ridotti. Se passa troppo tempo dal giorno della consumazione del reato, il reato non c´è più: questa è la prescrizione. Dunque, se si accorciano i tempi della prescrizione anche il reato di corruzione in atti giudiziari può evaporare. Finora la corruzione in atti giudiziari - reato per il quale Cesare Previti è stato condannato, in un processo, a undici anni di carcere e, in un altro, per corruzione semplice a cinque - si estingueva in quindici anni (dieci più cinque). La commissione giustizia della Camera propone ora di cambiare le regole del gioco. Senza farsi imprigionare dai tecnicismi, è sufficiente dire che i dieci anni più cinque, diventano otto più due. Il massimo della pena prevista da quel reato (otto anni) aumentata per le circostanze aggravanti di un quarto. Dunque otto più due, dieci anni. Non ci crederete, ma il processo milanese ha accertato che l´ultima manovra corruttiva di Cesare Previti (affare Imi-Sir) risale al giugno del 1994 (Previti si preparava a diventare ministro della Difesa e intascava una ventina di miliardi in Svizzera). Dunque, dieci anni e cinque mesi fa. Conclusione. Se la legge dovesse essere approvata come è stata confezionata oggi, il reato di corruzione in atti giudiziari di Cesare Previti, e manco a dirlo anche quello (ancora a giudizio) di Silvio Berlusconi, sarebbe estinto già da cinque mesi. Alla Camera, comunque, non vogliono proprio correre rischi. Si devono essere detti che bisogna garantire a Cesare Previti un´ulteriore opportunità nel caso l´operazione fallisse, la manipolazione saltasse e i tempi della prescrizione restassero quel che sono oggi. Il relatore della legge Luigi Vitali ha infilato così nella proposta un piccolo emendamento. Prevede che gli imputati condannati che abbiano compiuto i 70 anni, «a meno che non siano stati dichiarati delinquenti abituali o professionali», non faranno un solo giorno di carcere. Sconteranno la pena a casa. Anche in questo caso, sarete increduli nell´apprendere che, soltanto per un caso, Cesare Previti ha compiuto i settant´anni il mese scorso, il 21 ottobre. E´ la legge «Salva Previti!», anche se i burattinai e i burattini di quest´ultima manovra lo smentiscono. Al di là del disegno legislativo che si adatta alla figura di Previti come una giacca tagliata da Caraceni, ci sono due circostanze che lo confermano. La prima la offre, forse inconsapevolmente, proprio il relatore della legge. A frittata fatta, Luigi Vitali salta fuori con una dichiarazione a prima vista senza senso. Dice Vitali: «Ieri Silvio Berlusconi ha inaugurato il nuovo corso, ricatti non li accettiamo». Non si comprende che cosa c´entra il presidente del Consiglio. Il disegno di legge presentato alla commissione giustizia è formalmente un´iniziativa parlamentare, non una mossa del governo. E allora, perché invocare Berlusconi a meno che non sia di Berlusconi la sollecitazione a togliere a se stesso e a Previti le castagne dal fuoco? E´ un´ipotesi che trova una conferma nella seconda circostanza. Questa doveva essere la settimana del regolamento di conti con la magistratura. La riforma dell´ordinamento giudiziario è all´ultimo giro di boa, alla Camera. E´ la legge a cui il governo e la maggioranza hanno affidato, come sostengono le toghe, la vendetta contro pubblici ministeri e giudici. Ordine giudiziario fortemente gerarchizzato, umiliazione del consiglio superiore della magistratura, invasività dei poteri del ministro e delle commissioni di esame e di disciplina che egli contribuirà a formare. Sembrava fatta. Il ministro di giustizia addirittura sperava di chiudere la partita oggi togliendosi la soddisfazione di vincerla mentre la magistratura scioperava per la terza volta nella legislatura. Così non sarà. Il condono ambientale con la fiducia fa slittare il voto alla prossima settimana. Ma Palazzo Chigi ha fatto sapere che prima dell´ordinamento giudiziario bisognerà approvare la «Salva Previti!». Anche qui con molta coerenza perché prima la fai franca, eviti il pericolo e poi ti vendichi di chi te lo ha procurato. Quindi, prima si salva Previti, poi si puniscono i magistrati. Coerente. Come le riforme di giustizia del governo. Anche se, favorendo uno (Previti), sono riforme che salvano moltissimi e per reati socialmente minacciosi come la rapina, l´usura, la bancarotta... Ma questo a Palazzo Chigi deve essere apparso un insignificante dettaglio.
GIUSEPPE D´AVANZO
Norma salva-Previti Il Polo si spacca
La Stampa
Norma salva-Previti Il Polo si spacca
24-11-2004
La maggioranza si è spaccata in commissione Giustizia della Camera: Forza Italia e An hanno votato gli emendamenti sui tempi della prescrizione, l’Udc contro, la Lega si è defilata e ha espresso le sue perplessità, mentre per l’opposizione erano assenti Verdi e Rifondazione. L’Ulivo darà battaglia. Se dovesse passare il testo approvato dal Comitato dei nove, si introdurrà nel sistema delle prescrizioni un doppio binario: per i reati più gravi la prescrizione si calcolerà aumentando il massimo della pena prevista fino a due terzi della stessa. Per tutti gli altri, si ridurrà dalla metà a un quarto l’aumento del massimo della pena previsto per calcolare la prescrizione. Questo significa che se prima un imputato per un reato che prevedeva la pena massima di sei anni doveva aspettarne nove per la prescrizione, adesso saranno sufficienti sette e mezzo. «E’ cambiato il vento, non siamo più disposti a subire ricatti». Luigi Vitali, relatore del provvedimento in materia di recidiva e di termini di prescrizione - norma salva Previti, secondo l’opposizione -, commenta il colpo di scena nel Comitato dei nove. Fino all’altra sera, lo stesso Vitali aveva annunciato che in assenza di un accordo tra gli alleati sulla proposta dei suoi emendamenti, il Comitato avrebbe discusso soltanto gli emendamenti del centrosinistra. Ieri, invece, da palazzo Grazioli è arrivata l’indicazione di «forzare». Amareggiato, Edmondo Cirielli, An, che aveva presentato la proposta originaria, chiede che non venga più citato il suo nome, disconoscendo il testo: «Hanno snaturato e falsato il senso della mia proposta». L’opposizione denuncia i rischi di «una amnistia mascherata che cancellerà con un colpo di spugna migliaia e migliaia di processi» (Franco Bonito, Ds), di «impunità per chi si difende dal processo e non nel processo» (Gianni Kessler, Ds). E paventa - Giuseppe Fanfani, Margherita - che «la norma istigherà a tirare per le lunghe i processi». «E’ indecente - tuona Paolo Cento, Verdi -, ancora una volta per salvare un imputato eccellente, Cesare Previti, si sovrappone una vicenda giudiziaria personale alla necessità di riformare seriamente la giustizia». Spiega Giuseppe Fanfani, Margherita: «Le Sezioni unite della Cassazione avevano stabilito che non si doveva considerare, ai fini della prescrizione, la sospensione del processo richiesta di difensori». L’emendamento Vitali, invece, stabilisce: «In nessun caso la sospensione e l’interruzione della prescrizione, anche congiuntamente computate, possono comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere». Insomma, chiarisce Anna Finocchiaro, Ds, «basterà che un avvocato chieda due o tre rinvii al massimo in un processo perché quel reato si prescriva, salvo reati di criminalità organizzata». L’opposizione è determinata a dare battaglia, convinta che le modifiche presentate, se diventassero legge, allungherebbero i tempi del processo. Ma anche dentro la maggioranza non tutti sono d’accordo con il testo Vitali. Erminia Mazzoni, Udc, motiva così il suo voto contrario nel Comitato dei nove: «Con questi emendamenti si introduce una distorsione nel sistema. Se c’è qualcuno che ci convince sull’urgenza di questo provvedimento, siamo disposti a ragionare. Rilevo che nel giorno in cui il ministro dell’Interno, Beppe Pisanu, invoca maggiore severità sulla recidiva, certezza ed effettività della pena, in commissione Giustizia della Camera si va nella direzione opposta». L’esponente supplente della Lega, Rossi, al momento del voto nel Comitato dei nove, si è assentato. Carolina Lussana, capogruppo della Lega in commissione Giustizia, giustifica la sua assenza con un ritardo dell’aereo: «Sul testo di Vitali abbiamo delle perplessità, la nostra contrarietà è riferita a quegli emendamenti che vogliono riportare nell’ambito della discrezionalità del giudice l’aumento delle pene nei casi di recidiva. Noi siamo per l’obbligatorietà. Complessivamente, valuteremo come votare quando il provvedimento sarà in aula». Ieri sera la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso che sia l’ordinamento giudiziario che la legge sulla prescrizione e la recidiva slitteranno a martedì della prossima settimana. Una decisione maturata anche per l’incertezza del quadro politico.
Guido Ruotolo
Norma salva-Previti Il Polo si spacca
24-11-2004
La maggioranza si è spaccata in commissione Giustizia della Camera: Forza Italia e An hanno votato gli emendamenti sui tempi della prescrizione, l’Udc contro, la Lega si è defilata e ha espresso le sue perplessità, mentre per l’opposizione erano assenti Verdi e Rifondazione. L’Ulivo darà battaglia. Se dovesse passare il testo approvato dal Comitato dei nove, si introdurrà nel sistema delle prescrizioni un doppio binario: per i reati più gravi la prescrizione si calcolerà aumentando il massimo della pena prevista fino a due terzi della stessa. Per tutti gli altri, si ridurrà dalla metà a un quarto l’aumento del massimo della pena previsto per calcolare la prescrizione. Questo significa che se prima un imputato per un reato che prevedeva la pena massima di sei anni doveva aspettarne nove per la prescrizione, adesso saranno sufficienti sette e mezzo. «E’ cambiato il vento, non siamo più disposti a subire ricatti». Luigi Vitali, relatore del provvedimento in materia di recidiva e di termini di prescrizione - norma salva Previti, secondo l’opposizione -, commenta il colpo di scena nel Comitato dei nove. Fino all’altra sera, lo stesso Vitali aveva annunciato che in assenza di un accordo tra gli alleati sulla proposta dei suoi emendamenti, il Comitato avrebbe discusso soltanto gli emendamenti del centrosinistra. Ieri, invece, da palazzo Grazioli è arrivata l’indicazione di «forzare». Amareggiato, Edmondo Cirielli, An, che aveva presentato la proposta originaria, chiede che non venga più citato il suo nome, disconoscendo il testo: «Hanno snaturato e falsato il senso della mia proposta». L’opposizione denuncia i rischi di «una amnistia mascherata che cancellerà con un colpo di spugna migliaia e migliaia di processi» (Franco Bonito, Ds), di «impunità per chi si difende dal processo e non nel processo» (Gianni Kessler, Ds). E paventa - Giuseppe Fanfani, Margherita - che «la norma istigherà a tirare per le lunghe i processi». «E’ indecente - tuona Paolo Cento, Verdi -, ancora una volta per salvare un imputato eccellente, Cesare Previti, si sovrappone una vicenda giudiziaria personale alla necessità di riformare seriamente la giustizia». Spiega Giuseppe Fanfani, Margherita: «Le Sezioni unite della Cassazione avevano stabilito che non si doveva considerare, ai fini della prescrizione, la sospensione del processo richiesta di difensori». L’emendamento Vitali, invece, stabilisce: «In nessun caso la sospensione e l’interruzione della prescrizione, anche congiuntamente computate, possono comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere». Insomma, chiarisce Anna Finocchiaro, Ds, «basterà che un avvocato chieda due o tre rinvii al massimo in un processo perché quel reato si prescriva, salvo reati di criminalità organizzata». L’opposizione è determinata a dare battaglia, convinta che le modifiche presentate, se diventassero legge, allungherebbero i tempi del processo. Ma anche dentro la maggioranza non tutti sono d’accordo con il testo Vitali. Erminia Mazzoni, Udc, motiva così il suo voto contrario nel Comitato dei nove: «Con questi emendamenti si introduce una distorsione nel sistema. Se c’è qualcuno che ci convince sull’urgenza di questo provvedimento, siamo disposti a ragionare. Rilevo che nel giorno in cui il ministro dell’Interno, Beppe Pisanu, invoca maggiore severità sulla recidiva, certezza ed effettività della pena, in commissione Giustizia della Camera si va nella direzione opposta». L’esponente supplente della Lega, Rossi, al momento del voto nel Comitato dei nove, si è assentato. Carolina Lussana, capogruppo della Lega in commissione Giustizia, giustifica la sua assenza con un ritardo dell’aereo: «Sul testo di Vitali abbiamo delle perplessità, la nostra contrarietà è riferita a quegli emendamenti che vogliono riportare nell’ambito della discrezionalità del giudice l’aumento delle pene nei casi di recidiva. Noi siamo per l’obbligatorietà. Complessivamente, valuteremo come votare quando il provvedimento sarà in aula». Ieri sera la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso che sia l’ordinamento giudiziario che la legge sulla prescrizione e la recidiva slitteranno a martedì della prossima settimana. Una decisione maturata anche per l’incertezza del quadro politico.
Guido Ruotolo
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