Milano, contro Berlusconi il pm ha giocato le sue carte
sull'accusa di corruzione del giudice Squillante più che sulla Sme
Scarna, cinica, senza emozioni
la Boccassini spiazza la difesa
Nella requisitoria si fa tesoro delle correzioni dei giudizi
precedenti per i coimputati Previti, Pacifico e Verde
di GIUSEPPE D'AVANZO
Ilda Boccassini durante la requisitoria
MILANO - Si apre, di buon mattino, il libro delle scommesse al Palazzo di Giustizia di Milano. Quale condanna avrebbe chiesto Ilda Boccassini per Silvio Berlusconi? Le previsioni si colorano subito di nero notte. Undici anni! Dodici anni! No, tredici! Gaetano Pecorella, l'avvocato del presidente del Consiglio e tante altre cose ancora, parlamentare di Forza Italia, presidente della commissione giustizia della Camera, in corsa per un posto da giudice costituzionale, lascia cadere prima una perfidia. "Vedrete, la Boccassini ci metterà due giorni per concludere la requisitoria perché un giorno solo è un titolo di giornale solo. Meglio allora stare lunghi in due giorni e guadagnare due titoli".
Liquidata così la vanità del pubblico ministero, l'avvocato scodella il vaticinio più pessimista. Lancia lì "tredici anni e otto mesi". Perché quegli otto mesi, avvocato? "Ma è chiaro. Per Previti il pubblico ministero ha chiesto tredici anni. Per Berlusconi, che all'accusa appare più colpevole di Previti, chiederà otto mesi in più. Non vi pare?".
Ilda Boccassini entra in aula con un paio di occhiali da sole che ne accentuano la grinta di "cattivissima". Brutto segnale. Appare a tutti l'annuncio di una requisitoria del pubblico ministero aspra nella sostanza e addirittura asprissima nella forma per emotività, aggressività, censura morale. A questo punto - e l'udienza non è ancora iniziata - c'è chi corre al libro delle scommesse e corregge la sua giocata al peggio. Per l'imputato Berlusconi Silvio s'annuncia una pessima giornata, dicono.
Campanello. La faccia, che non sai dire se assorta o distratta o assente, del presidente Castellano fa capolino in aula. L'udienza comincia e nessuna delle previsioni, alla fine, rimane in piedi. In sole sette ore, e non in due giorni, Boccassini liquida il suo impegno. Chiede otto anni di condanna e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per Berlusconi. Esclude ogni attenuante per l'imputato. Con una mossa a sorpresa, contesta non il reato di corruzione in atti giudiziari, ma la corruzione semplice.
Una requisitoria che fa tesoro delle correzioni dei giudizi precedenti (Cassazione, Tribunale, Corte di appello) per gli altri coimputati (Cesare Previti, Attilio Pacifico: i corruttori. Renato Squillante, Filippo Verde: i giudici corrotti).
Veggenti e scommettitori restano di princisbecco perché è il giorno in cui si scopre una Boccassini molto pragmatica. "Cinica" direbbero, credo, i cronisti sportivi. Il pubblico ministero gioca la sua partita in modo utilitaristico ed essenziale. Bada al sodo senza alcun preziosismo tecnico né alcuna mossa emotiva o vagamente "politica". Secca. Asciutta. L'accusa sta ai fatti, e i fatti - si sa - sono testardi e ostinatissimi. Non lo comprendono - non possono comprenderlo, per necessità - i corifei del Capo che, a udienza chiusa, intonano da Roma la farfallina e fraudolenta litania dell'"accanimento politico-giudiziario".
Fossero stati in aula si sarebbero vergognati delle loro parole perché a Milano la Boccassini elenca - anche a costo di diventare noiosissima - documenti, testimonianze, bonifici bancari, contatti telefonici e, degli imputati e dei testimoni a sostegno, contraddizioni, incongruenze, menzogne. Con una prima, sorprendente variazione.
Questo processo viene spesso definito "processo Sme". E' una deformazione di cui i media, in buona o cattiva fede, hanno abusato e che Berlusconi ha sfruttato con abilità parlando quasi esclusivamente dell'affare Sme. La manipolazione ha permesso, negli anni, al patron della Fininvest di coinvolgere nella mischia polemica il suo antagonista politico Romano Prodi, l'azionista di riferimento del Gruppo Espresso Carlo De Benedetti e "la sinistra" e "la magistratura rossa", insomma lo sfruttamento intensivo dell'armamentario con cui Berlusconi si autorappresenta agli italiani come vittima. E' un ruolo che, è noto, sa recitare meglio, con grande sapienza. Questa cosmesi esorcistica dei fatti lascia in ombra, se non dimenticato, che in questo processo i capi di imputazione, per Berlusconi, sono due. Che l'affare Sme è soltanto il secondo capo.
Nemmeno il più rilevante perché il più importante è il primo. Vi si legge che "Silvio Berlusconi ha agito affinché il consigliere istruttore di Roma Renato Squillante compisse una serie di atti contrari ai doveri d'ufficio e in particolare: ponesse le sue pubbliche funzioni al servizio della Fininvest; violasse il segreto d'ufficio fornendo informazioni a lui richieste; intervenisse su altri uffici giudiziari al fine di indurli a compiere atti contrari ai doveri d'ufficio in modo da favorire quella società". Detto in altro modo, "Silvio Berlusconi, con Cesare Previti e Attilio Pacifico, prometteva e versava ingenti somme di denaro, retribuendo stabilmente, Renato Squillante".
Lo si può dire ancora in un altro modo più essenziale: Silvio Berlusconi ha avuto "a libro paga", come fosse un suo dipendente, il giudice di Roma. Ecco l'accusa che più mette in pericolo, preoccupandolo assai, Silvio Berlusconi. Sul terreno del primo capo d'imputazione (la "stabile retribuzione" di Squillante) e non sulla Sme (che è affare dell'altro giudice, Filippo Verde: il pubblico ministero ne parlerà in coda alla requisitoria e per non più di un'ora) Ilda Boccassini gioca le sue carte. Con uno stile apparentemente scarno - e, ripeto, a tratti addirittura noioso - l'accusa sviluppa a mano ferma una ricostruzione dei fatti, dei trasferimenti di denaro, dei contatti diretti tra Berlusconi e il suo giudice. Una mano - e quanto importante - le è stata offerta anche dal presidente del Consiglio. Che è apparso dinanzi al Tribunale in due occasioni rifiutando l'interrogatorio, ma accettando di fare dichiarazioni spontanee che sono diventate improvvide per il suo destino, provvidenziali per l'accusa. Berlusconi ha sempre negato che Squillante avesse deciso un qualche affare Fininvest. Ha sempre negato di averlo addirittura conosciuto ammettendo poi di aver ricevuto soltanto dal giudice una telefonata, forse per un'autocandidatura politica. Manco a dire, del denaro.
Mai denaro, per carità! Questa era dunque la conclusione di Berlusconi: "In questo processo non c'è il morto, non c'è l'arma del delitto, non c'è il movente".
Difesa incauta. Boccassini se la lavora lentamente. Passo dopo passo, documento dopo documento, il pubblico ministero dimostra che "la semplice esposizione dei dati permette di asseverare che il conto bancario "Polifemo", rifornito con fondi che, come sostiene la difesa, "provenivano da disponibilità personali di Silvio Berlusconi e non dalle casse della Fininvest", veniva utilizzato nel 1991 soltanto per tre mesi e solo per ricevere la somma di 12 miliardi di lire che, immediatamente dopo, venivano girati a due soli destinatari: Cesare Previti e Bettino Craxi. Esaurite tali operazioni il conto veniva chiuso".
"Agli inizi del 1991, continua il pubblico ministero, Cesare Previti destinava parte delle somme ricevute da Silvio Berlusconi (e con il suo accordo) a tre magistrati romani; in particolare: il 14 febbraio del 1991, una parte (425 mila dollari) di un bonifico di 2.732.868 dollari era destinata al giudice Vittorio Metta, relatore della sentenza della Corte d'Appello di Roma sul Lodo Mondadori; il 5 marzo 1991 434.404 dollari erano accreditati sul Rowena di Renato Squillante; 16 aprile 1991 da un trasferimento di 1.800.000.000 di lire, venivano accreditati 500 milioni sul conto "Master" di Filippo Verde e una parte - altri 500 milioni - portata in Italia in contati (se ne sono perse le tracce)". Quindi "un arma del delitto" c'è. Renato Squillante riceveva, intermediario Cesare Previti, denaro da Berlusconi. C'è "il morto"? Ovvero Squillante ha mai conosciuto il presidente della Fininvest?
Ha facile gioco ora l'accusa. Con i tabulati telefonici, può dimostrare le frequenti e ripetute telefonate del giudice all'allora imprenditore. E non solo a lui. Ma, per il Capodanno, al fratello Paolo Berlusconi, a Cesare Previti, ovviamente. Meno ovviamente, a Gianni Letta. Insomma, a tutto l'inner circle del presidente del Consiglio. Forse Renato Squillante voleva candidarsi al Parlamento?, come sostiene Berlusconi. No. Lo dice lo stesso Squillante: "E' stato Berlusconi a chiedermi di candidarmi: diceva di non avere toghe all'altezza dell'incarico". C'è "l'arma del delitto". C'è "il morto". Manca "il movente". Berlusconi: "Squillante non si è mai occupato degli affari Fininvest". E' la più clamorosa bugia che l'imputato ha gettato sul tavolo.
E' spietata Ilda Boccassini quando ricorda come "nel 1984, Squillante decise della possibilità della Fininvest di diffondere il segnale a livello nazionale: una questione di vita e di morte per le televisioni di Berlusconi, dopo l'oscuramento imposto da alcuni pretori. In quell'occasione fu addirittura interrogato da Squillante".
Morto. Arma del delitto. Movente. Il pubblico ministero può ora chiudere il suo affondo. Le interessa sanzionare i comportamenti più gravi di Silvio Berlusconi al di là dei reati (falso in bilancio, esportazione di valuta all'estero). Otto anni e l'interdizione dai pubblici uffici le sembrano una pena equa. Per la cronaca, le scommesse sono state restituite. Nessuno ha imbroccato il risultato.
(13 novembre 2004) www.espresso.it
"I swear to God, if I were a piano player or an actor or something and all those dopes thought I was terrific, I'd hate it. I wouldn't even want them to clap for me. People always clap for the wrong things". "(Holden Caulfield/JDSalinger - The catcher in the rye)
Friday, November 19, 2004
Processo SME . Avvocato di Stato chiede condanna di Berlusconi:"Il passaggio di soldi dimostra la corruzione"
Al processo è il giorno delle parti civili. L'avvocato dello Stato Salvemini: "Il passaggio di soldi dimostra la corruzione"
Sme, la Presidenza del Consiglio
chiede la condanna di Berlusconi
La difesa: "Arringa politica, fu nominato dal centrosinistra"
Pisapia chiede 4,5 miliardi di risarcimento per la Cir
Silvio Berlusconi
MILANO - La presidenza del Consiglio chiede la condanna di Silvio Berlusconi e danni per un miliardo di euro. E' questo il risultato di una giornata paradossale nell'ambito del processo-stralcio Sme, che vede il premier imputato di corruzione in atti giudiziari. Il paradosso è: Silvio Berlusconi contro Silvio Berlusconi, la presidenza del Consiglio contro il presidente del Consiglio. Ciò accade perché oggi ha parlato in aula l'avvocato dello Stato Domenico Salvemini, che appunto rappresenta la parte civile per Palazzo Chigi. Solo che la costituzione della parte civile avvenne all'epoca del governo D'Alema, mentre ora a guidare il governo c'è Berlusconi.
A riconoscere l'eccezionalità della situazione è stato lo stesso Salvemini. Prendendo la parola all'inizio dell'udienza, l'avvocato ha riconosciuto che si tratta di "un fatto singolare", che "ha molto colpito l'opinione pubblica". E prima di entrare nel vivo del suo intervento, ha fornito una spiegazione davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano: "Giuridicamente rappresento la presidenza del Consiglio, e quindi un soggetto giuridico diverso dalla persona fisica del presidente del Consiglio". Il quale, ha concluso l'avvocato, "è qui difeso dai suoi legali e dunque in questo processo rappresenta la parte dell'imputato".
L'avvocatura dello Stato ha chiesto la condanna di Berlusconi con un risarcimento "in via equitativa" di 1,1 milioni di euro ed una provvisionale "immediatamente esecutiva" di 300mila euro.
"Qui non è contestata una corruzione qualsiasi - dichiara Salvemini - ma il mercimonio dell'attività di un giudice. Un caso eclatante di corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio. Non una corruzione generica ma generalizzata di un giudice".
Nel corso della sua arringa, Salvemini ha puntato l'indice sul movimento di cospicue somme di denaro (434 mila dollari nel marzo 1991) da conti esteri riconducibili alla Fininvest, verso il giudice Squillante e altri tra giudici e avvocati, per dimostrare che Silvio Berlusconi avrebbe corrotto i magistrati. "Il denaro - ha detto l'avvocato dello Stato - è partito dal gruppo imprenditoriale per arrivare sui conti esteri di un magistrato. Questo porta ad affermare che quel magistrato era al servizio della Fininvest". "Siccome - ha continuato Salvemini - non è stata trovata una causale lecita perché i soldi dovessero andare da Fininvest a Squillante, anzi da Silvio Berlusconi al giudice Squillante, la deduzione logica è che questi fossero il pagamento di una corruzione".
Il legale ha contestato anche le spiegazioni, secondo cui una parte cospicua del denaro potrebbe essere riconducibile ad onorari, versati a Cesare Previti (circa 16 miliardi) in qualità di legale del gruppo: "Di parcelle non c'è traccia, e anche la spiegazione che fossero soldi in nero non regge. Non c'è alcuna documentazione del lavoro che Previti avrebbe svolto all'estero per meritare quei soldi - ha precisato Salvemini - e lo stesso Silvio Berlusconi non ci ha affatto parlato di un ruolo straordinario di Previti: era uno dei quasi 100 legali di Fininvest".
Allo stesso modo, secondo l'avvocato, non reggerebbero le spiegazioni di un giro di "compensazioni" tra i protagonisti della vicenda, per l'acquisto di alcuni appartamenti mai portato a termine: "E' tutto non credibile". Secondo Salvemini, invece, vi furono rapporti tra Berlusconi e Squillante fin da quando, nel 1985, il giudice assolse l'attuale premier in un processo per l'installazione di alcuni ripetitori avvenuta, secondo l'accusa, irregolarmente.
Contesta l'arringa di Salvemini Niccolò Ghedini, uno dei difensori di Silvio Berlusconi, e la definisce "politica". "L'avvocato dello Stato - dice Ghedini - è stato nominato dalla precedente maggioranza, oggi opposizione, e sta facendo un intervento squisitamente politico. Le accuse sono gravi ma sono sbagliate. E' un intervento squisitamente politico".
In serata, il legale di parte civile Cir De Benedetti, Giuliano Pisapia, ha chiesto che Silvio Berlusconi risarcisca 4 miliardi e 500 milioni di euro per danni patrimoniali e morali. Con le conclusioni del legale di parte civile il processo è stato aggiornato al 3 dicembre prossimo, quando la parola andrà ai difensori del premier.
(19 novembre 2004) www.repubblica.it
Sme, la Presidenza del Consiglio
chiede la condanna di Berlusconi
La difesa: "Arringa politica, fu nominato dal centrosinistra"
Pisapia chiede 4,5 miliardi di risarcimento per la Cir
Silvio Berlusconi
MILANO - La presidenza del Consiglio chiede la condanna di Silvio Berlusconi e danni per un miliardo di euro. E' questo il risultato di una giornata paradossale nell'ambito del processo-stralcio Sme, che vede il premier imputato di corruzione in atti giudiziari. Il paradosso è: Silvio Berlusconi contro Silvio Berlusconi, la presidenza del Consiglio contro il presidente del Consiglio. Ciò accade perché oggi ha parlato in aula l'avvocato dello Stato Domenico Salvemini, che appunto rappresenta la parte civile per Palazzo Chigi. Solo che la costituzione della parte civile avvenne all'epoca del governo D'Alema, mentre ora a guidare il governo c'è Berlusconi.
A riconoscere l'eccezionalità della situazione è stato lo stesso Salvemini. Prendendo la parola all'inizio dell'udienza, l'avvocato ha riconosciuto che si tratta di "un fatto singolare", che "ha molto colpito l'opinione pubblica". E prima di entrare nel vivo del suo intervento, ha fornito una spiegazione davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano: "Giuridicamente rappresento la presidenza del Consiglio, e quindi un soggetto giuridico diverso dalla persona fisica del presidente del Consiglio". Il quale, ha concluso l'avvocato, "è qui difeso dai suoi legali e dunque in questo processo rappresenta la parte dell'imputato".
L'avvocatura dello Stato ha chiesto la condanna di Berlusconi con un risarcimento "in via equitativa" di 1,1 milioni di euro ed una provvisionale "immediatamente esecutiva" di 300mila euro.
"Qui non è contestata una corruzione qualsiasi - dichiara Salvemini - ma il mercimonio dell'attività di un giudice. Un caso eclatante di corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio. Non una corruzione generica ma generalizzata di un giudice".
Nel corso della sua arringa, Salvemini ha puntato l'indice sul movimento di cospicue somme di denaro (434 mila dollari nel marzo 1991) da conti esteri riconducibili alla Fininvest, verso il giudice Squillante e altri tra giudici e avvocati, per dimostrare che Silvio Berlusconi avrebbe corrotto i magistrati. "Il denaro - ha detto l'avvocato dello Stato - è partito dal gruppo imprenditoriale per arrivare sui conti esteri di un magistrato. Questo porta ad affermare che quel magistrato era al servizio della Fininvest". "Siccome - ha continuato Salvemini - non è stata trovata una causale lecita perché i soldi dovessero andare da Fininvest a Squillante, anzi da Silvio Berlusconi al giudice Squillante, la deduzione logica è che questi fossero il pagamento di una corruzione".
Il legale ha contestato anche le spiegazioni, secondo cui una parte cospicua del denaro potrebbe essere riconducibile ad onorari, versati a Cesare Previti (circa 16 miliardi) in qualità di legale del gruppo: "Di parcelle non c'è traccia, e anche la spiegazione che fossero soldi in nero non regge. Non c'è alcuna documentazione del lavoro che Previti avrebbe svolto all'estero per meritare quei soldi - ha precisato Salvemini - e lo stesso Silvio Berlusconi non ci ha affatto parlato di un ruolo straordinario di Previti: era uno dei quasi 100 legali di Fininvest".
Allo stesso modo, secondo l'avvocato, non reggerebbero le spiegazioni di un giro di "compensazioni" tra i protagonisti della vicenda, per l'acquisto di alcuni appartamenti mai portato a termine: "E' tutto non credibile". Secondo Salvemini, invece, vi furono rapporti tra Berlusconi e Squillante fin da quando, nel 1985, il giudice assolse l'attuale premier in un processo per l'installazione di alcuni ripetitori avvenuta, secondo l'accusa, irregolarmente.
Contesta l'arringa di Salvemini Niccolò Ghedini, uno dei difensori di Silvio Berlusconi, e la definisce "politica". "L'avvocato dello Stato - dice Ghedini - è stato nominato dalla precedente maggioranza, oggi opposizione, e sta facendo un intervento squisitamente politico. Le accuse sono gravi ma sono sbagliate. E' un intervento squisitamente politico".
In serata, il legale di parte civile Cir De Benedetti, Giuliano Pisapia, ha chiesto che Silvio Berlusconi risarcisca 4 miliardi e 500 milioni di euro per danni patrimoniali e morali. Con le conclusioni del legale di parte civile il processo è stato aggiornato al 3 dicembre prossimo, quando la parola andrà ai difensori del premier.
(19 novembre 2004) www.repubblica.it
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