E' stato ,oltre che grande Poeta, anche uno dei tanti uomini sensibili che hanno percepito da tempo la pesantezza del clima politico Bushiano-Berlusconiano . Clima di miserabili slogan ,di egoismo deflagrante, di brutale politica internazionale fondata sull'ignoranza e,soprattutto sul tornaconto economico dei potenti.
Ciao Mario.
Intervista di Renzo Cassigoli – L'UNITA' – 27/12/2003
Mario Luzi: “Povera Italia, a un passo dal regime”
“È accaduto di tutto nel 2002. Una serie di eventi disastrosi per la sopravvivenza del pianeta e per il totale disorientamento dell’uomo singolo e dell’umanità nel suo complesso”. Questa volta Mario Luzi non sembra concedere spazio all’ottimismo, nemmeno della volontà. Uno spiraglio si apre solo quando parla dei movimenti giovanili di protesta e delle manifestazioni sindacali. “Che devo dirle? Cascano le braccia ad ascoltare le notizie o le dichiarazioni insensate di chi ci governa. Si è parlato di “anno orribilis”. Non c’è altra definizione. Un Natale di guerra e di disperazione nel mondo. Sembra una di quelle storie alla Blasco Ibànez, “I quattro cavalieri dell’Apocalisse”: peste, fame, guerra. È accaduto di tutto, e ancora tutto può accadere”.
I venti di guerra, professore, percorrono il mondo e soffiano sempre più forti. Il Papa dice che “Dio, disgustato, si nasconde agli uomini”. Parole destinate ancora una volta a essere ignorate?
“Dio, disgustato, si è voltato da un’altra parte”. Parole che in assoluto si possono, teologicamente, recepire in un modo o in un altro, ma il significato è inequivocabile: il comportamento dell’uomo, dei suoi organismi collettivi sociali e societari, è aberrante. Sul silenzio di Dio, teologicamente, si può avere qualche versione, non dico antitetica, ma differente, però il senso morale di quelle parole non può cadere nel vuoto. Deve essere ascoltato perché chi parla è qualcuno che ha il “polso” del mondo e dell’umanità. Vede e capisce, quel che gli altri, accecati, non vedono e non vogliono capire. Il fanatismo americano per la guerra è assurdo, è inaccettabile.
Bush, intanto, dichiara che può anche usare l’atomica.
È insensato. L’unico spiraglio è quello che ci permette di cogliere in una parte del paese, dei giovani soprattutto, la voglia di non arrendersi, di proporre, magari un po’ ingenuamente, altre strade. È qualcosa che ci incita ad aspettare il domani. Senza di ché, non varrebbe neanche la pena d’aspettarlo. La speranza è in questi movimenti, nelle manifestazioni che esprimono voglia di cambiare, che aspirano a qualcosa di più alto. Un desiderio impreciso, ma vitale. Non vedo altro.
Viviamo in un mondo dominato dall’egoismo, dalla sopraffazione Il 20% della popolazione della Terra consuma l’80% delle risorse e inquina per il 54% il pianeta, mentre un miliardo e mezzo di esseri umani vivono senz’acqua né elettricità. Possiamo assistere inerti.
È un discorso che abbiamo già fatto. Ci sono fasi della storia umana nelle quali lo scontro si fa più duro e feroce, questa è una di quelle. Dovremmo ammetterlo, finalmente: la nostra prosperità è fondata sulla disperazione di gran parte dei popoli della Terra. Forse è necessario uno scossone planetario, un evento eccezionale capace di rompere una situazione che sembra avvitarsi su sé stessa. Un trauma planetario! Prenda queste migrazioni di popoli. Sembra di vederle le moltitudini mentre si spostano in cerca di pace e di lavoro. Sono un segno dello scossone di cui parlo. Vediamo se sono tanto forti da travolgere le egoistiche difese, magari sono pregevoli come ingegneria politica, con i loro strattagemmi e istituti a difesa dei privilegi, pronti però a respingere la disperazione dei altri con la forza delle armi. Al di là delle manifestazioni “new global”, dei sindacati, di coloro che sanno come stanno le cose e si battono per cambiarle, che vogliono vivere non negando la vita agli altri, non c’è nulla che porta il sorriso. Sono loro a dimostrare che qualcosa si muove.
Veniamo al nostro Paese, professore. Lo stanno così sfigurando da non riconoscerlo più.
Da vecchio cittadino - educato in un certo modo dalle elementari all’Università, dove ho imparato e cercato di insegnare qualcosa - vedo con quale cinismo e indifferenza stanno disfacendo il Risorgimento: un secolo e mezzo di storia patria che affonda le radici in un millennio. Si parla di qualcosa di fondamentale, che ha impegnato generazioni, come si trattasse di cambiare una squadra di calcio di serie C. È indecente. Solo Ciampi sembra ogni tanto occuparsene.
Si vorrebbe riscrivere la storia, Resistenza e Costituzione inclusa. C’è un prete, Baget Bozzo, che propone di cancellare il 25 aprile.
Già, uno di quelli che vorrebbero disfarsi del Risorgimento e della Resistenza al fascismo e al nazismo. È l’espressione d’un clericalismo ottuso che ritorna in questo prete che, è stato craxiano e ora è naturalmente berlusconiano. Uno di coloro che sono contenti della disgregazione e della negazione delle ragioni costitutive dell’Italia. Tutto questo dovrebbe essere motivo di rivolta.
La giaculatoria non finisce qui. Dalla crisi economica e produttiva, con migliaia di licenziamenti alla la Fiat e nell’indotto, si arriva alla crisi dell’Università e della ricerca. Un Paese che sembra rinunciare al futuro, l’unico in cui tutti i Rettori degli atenei si sono dimessi. Un bel record!
Un Paese che costringe a queste decisioni si va abbrutendo, si va facendo selvaggio. E ce lo fanno capire, a cominciare dal capo del governo e dai suoi ministri, fino ad arrivare ad alcuni suoi “governatori”, che ormai sembrano dei ras. Non sono solito lasciarmi andare, ma non ne posso più. L’economia! Un capo di governo che aveva promesso un milione di posti di lavoro, ora propone a chi lo perde di lavorare a nero. È grottesco, se non fosse tragico. Anche in questo prevale il senso della disgregazione. Per ora non vedo molto di costruttivo. Forse qualcosa verrà. La speranza è in quelle folle che manifestano, magari accusate d’inciviltà da Berlusconi.
E che dire della Giustizia, piegata agli interessi personali del capo del governo e dei suoi accoliti. Ai funerali di Caponnetto, padre del pool antimafia, c’erano tutti, mancava solo il governo.
E questo la dice lunga. Ho visto che un pentito parlando di mafia, politica ed economia ha tirato in ballo personaggi illustri, si dice, anche Berlusconi. Ma s’è trovato il modo di farlo tacere. D’altra parte basta pensare alle ultime elezioni quando un’intera isola, la Sicilia, ha cambiato segno. Ho conosciuto poco Caponnetto, persona ferma e integra nella sua chiaroveggenza. Non ho conosciuto Falcone e Borsellino, parte di quella magistratura che è stata prima isolata, poi rimossa e, in qualche caso, uccisa. In questo Paese non si è trattato solo di alternative politiche, ma di una vera e propria presa di potere per bande. Questa è la sensazione d’un cittadino.
Pensa anche alla comunicazione, e al conflitto di interessi? Con la crisi della Fiat le mire del Cavaliere sembrano estendersi al Corriere della Sera e alla Stampa, non ancora del tutto omologati. Il Corriere soprattutto, con Sartori, Biagi, e anche Padoa Schioppa.
Certo. Si ha quasi l’impressione di una valvola di sfogo, manovrata o, diciamo, consentita, come in tutti i regimi. Ma, almeno, un certo decoro in alcuni c’era ancora. Se poi il Cavaliere si prende anche quei giornali il ciclo è completo.
Lei pronuncia la parola “regime”. Appena qualche mese fa a pronunciarla si veniva accusati di catastrofismo. Per lei la democrazia corre dei rischi?
Secondo me, sì. Rischi dissimulati, per ora. Ma ci sono già, anche se non dichiarate, delle limitazioni alla libertà. Nella stampa dove ci si adatta anche a esprimere la propria contrarietà. Hanno i colori dell’ipocrisia, ma ci sono. Basta pensare alla Rai. Si agisce per bande. Non è la contrapposizione legittima, è l’occupazione del potere, la negazione dell’altro, è la proscrizione.
Si dice che Berlusconi sia frutto di questa Italia, ma di quale Italia parliamo?
Poteva essere espresso solo in un‘epoca priva di ideali, e anche di ideologie. Ora se ne dice male, ma con tutti i difetti, le ideologie sono anche state delle spine dorsali. È espressione di un epoca allo sbando, in senso culturale e morale. Personaggi che sembrano inverosimili, inattendibili per le cose che dicono e fanno, ma che purtroppo sono reali.
Ma c’è un’altra Italia, lei dice. Quella della manifestazione “new global” a Firenze, delle grandi manifestazioni sindacali.
Certo che c’è. Guardando a questa nube che grava su tutti noi, penso a coloro, giovani in particolare, immuni dall’egoismo, penso alla forza centripeta del sindacato. È una speranza.
Una volta c’erano i partiti di massa, oggi invece sembrano separati dalle masse. Una sorta di corto-circuito. La nostra è una democrazia fondata sui partiti, come si fa a riattivare la corrente?
Non è facile, ci vuole buona volontà dalle due parti. I partiti italiani hanno sempre avuto il difetto di parlare un po’ dall’alto. Non hanno saputo ascoltare e si sono sfasciati. Devono ricostituirsi ex novo e devono riprendere il dialogo, ascoltando e parlando.
E la cultura che fa? Gli intellettuali avvertono il pericolo di cui lei parla?
È un po’ difficile trarre qualche conclusione. Mi pare, almeno, di riscontrare una certa avvertenza del pericolo illiberale che c’è in questa Casa della Libertà. Anche a Parigi, al Salone del Libro dedicato all’Italia nel marzo scorso, si ebbe quest’impressione e, in generale, l’attenzione fu desta e il “legittimo sospetto” diffuso. Certo il quadro è un po’ torbido e c’è anche chi vacilla. Le grandi case editrici, sono quasi tutte d’un padrone. Anche chi dissente e si espone, poi deve pur stampare i propri libri, magari da Mondadori, che vuol dire Berlusconi, rischiando anche d’essere messo al bando. C’è una cultura che, secondo me, è ancora arroccata su vecchie posizioni, nelle quali sembra ancora esprimersi il Pci d’una volta. C’è chi è più duttile e aperto, come Cacciari. Poi, purtroppo, qualche punto fermo è un po’ invecchiato. È un momento di grande incertezza.
Alla fine che resta, professore, un po’ d’ottimismo della speranza?
Questa volta il piatto della bilancia pende verso il pessimismo. C’è una sorta di ingorgo maligno che pesa. La speranza è nei giovani, nelle grandi masse in coloro che vogliono un futuro per sé e per i figli. L’augurio è che masse e partiti rinnovati riescano a parlarsi e ad ascoltarsi. Sa che le dico? Alla fine concludo con il verso di una mia poesia pubblicata ne “Al fuoco della controversia”: “Ancora combattimento e ancora combattimento”.
Intervista di Renzo Cassigoli – L'UNITA' – 27/12/2003