ROSARIA CAPACCHIONE Una banda. Una struttura stabile che sfruttava leggi, fame di lavoro, finanziamenti pubblici. E il potere politico e istituzionale, quello personale e quello derivato dall’appartenenza all’entourage del ministro. Grazie al nome di famiglia e al rango di segretari particolari di Mario Landolfi, hanno truffato Regione, Stato e Unione europea incassando in proprio i fondi destinati alla formazione professionale e ai contratti di formazione-lavoro. Oltre cinquecentomila euro, riscossi o ipotecati, transitati sui conti di un mobilificio e di un bar e finiti nelle tasche della famiglia Chianese: zio, nipoti, mogli, segretarie. Gli avvisi di garanzia e le perquisizioni portano la data del maggio 2006. All’alba di ieri l’epilogo della vicenda giudiziaria: sei arresti, due obblighi di dimora. Sono stati i carabinieri della compagnia di Mondragone a notificare le ordinanze cautelari (con concessione degli arresti domiciliari) a Cosimo Chianese, 45 anni, capo della segreteria particolare dell’allora ministro delle Comunicazioni Mario Landolfi; a Raffaele Chianese, 40 anni, responsabile della segreteria mondragonese del parlamentare di An, ex vicesindaco e superassessore comunale, già coinvolto nelle inchieste della Dda sul consorzio Ce4; a Luca Chianese, 35 anni, fratello di Raffaele e nipote di Cosimo; a Enza Ceraso, 41 anni, moglie di Raffaele Chianese e vigile urbano a Mondragone; a Renato Verrengia, 39 anni, avvocato civilista specializzato in risarcimenti per incidenti stradali; a Giovanni Ranieri, 46 anni, di Pozzuoli, titolare della Gest.In., società accreditata presso la Regione Campania per i corsi di formazione del progetto Aifa. Obbligo di dimora per Elvira Verrengia, 44 anni, sorella dell’avvocato; e per Cinzia Moscatiello, 32 anni, segretaria di Raffaele Chianese. Rispondono tutti di associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e dell’Unione europea. L’inchiesta - coordinata dal pm Silvio Guarriello - era partita nella primavera del 2006, quando ai carabinieri erano giunti alcuni esposti che segnalavano la promessa di posti di lavoro alle Poste in cambio di voti (era in corso la campagna elettorale per le amministrative). L’attività d’indagine - intercettazioni telefoniche e dichiarazioni testimoniali - ha consentito di scoprire «una stabile macchina truffaldina», come l’ha definita il gip Raffaele Piccirillo nell’ordinanza cautelare, «messa in campo per il perseguimento degli obiettivi di illecito arricchimento a scapito delle pubbliche risorse». Nelle trenta pagine che compongono l’atto di accusa, vengono documentate «la rete di relazioni politiche trasversali, gli strumenti e i rapporti professionali» e la «spregiudicatezza delle relazioni allacciate con le burocrazie regionali e con i soggetti preposti al controllo dell’effettività dei corsi di formazione e delle assunzioni». Corsi fasulli, svolti solo sulla carta: falsi i tutor, falsi gli allievi, falsi i fogli di presenza, falsi i contratti di lavoro, di cui erano nominalmente beneficiari la colf e la baby-sitter di Raffaele Chianese o disoccupati che nulla sapevano e che mai hanno incassato contributi e stipendi. Il giudice Piccirillo fa espresso riferimento alla «rete di contatti familiari sfruttata nelle fasi del reclutamento degli attori da far recitare nella messinscena dei corsi fantasma e della simulazione dei pagamenti mai avvenuti» e censura «l’approfittamento sistematico e spregiudicato delle condizioni di precarietà economica e di frustrazione professionale dei giovani coinvolti nella pantomima». Perché di recita si trattava, come qualcuno degli indagati - come Gianni Ranieri - ha ammesso durante gli interrogatori fatti nel corso delle indagini. I contributi risultano incassati dal mobilificio Chianese e dal bar Augusto, che avevano fittiziamente assunto gli «allievi» da formare. In realtà, come ha dimostrato la documentazione bancaria, sono finiti direttamente nelle casse di famiglia. E gli assegni riscossi dai «corsisti»? Quelli ci sono, ma si tratta di tutt’altro, e cioè delle somme liquidate dalle assicurazioni per incidenti stradali e transitati per lo studio Verrengia, terminale della truffa. Ma questa è un’altra storia.
Il clan di persone legate a Mario Landolfi è finito in carcere. L’accusa per tutti è quella di aver truffato lo Stato. Con la copertura dell’attuale presidente della commissione di Vigilanza Rai. In esclusiva le intercettazioni che li incastranodi Sergio Nazzaro da Caserta Ealla fine hanno arrestato tutti gli amici di Mario. In una terra affamata di lavoro, avevano creato quattro diverse società paravento per ottenere i finanziamenti destinati ai corsi di formazione. Cosimo Chianese, ex segretario di Mario Landolfi, e Raffaele Chianese, vice sindaco di Mondragone e capo segreteria, finiscono in manette per truffa. Il bottino è di qualche centinaio di migliaia di euro. Intanto la Dda di Napoli indaga sulla gestione dei rifiuti e i fratelli Orsi chiamano in causa, ancora una volta, Raffaele Chianese e l’onorevole Mario Landolfi, attuale presidente della commissione di Vigilanza Rai ed ex ministro per le Poste e Telecomunicazioni nel secondo governo Berlusconi. Mario Landolfi intanto discetta imperturbabile delle intercettazioni Saccà. Tutti i suoi uomini sono stati arrestati, ma lui non ha nulla da aggiungere. Forse la notizia non passa per davvero. Percorrendo la Domiziana, fino a qualche tempo fa incuriosivano i camion targati Chianese-Poste Italiane. Quel quesito oggi trova una risposta. La Chianese Trasporti srl aveva ottenuto, senza averne i requisiti, un contratto di trasporto sulla tratta Bologna-Bari. Nell’ordinanza che ha portato agli arresti i Chianese, spuntano i nomi di Franco Casucci, amministratore delegato di Poste italiane trasporti spa, e Fabrizio Penna, presidente del consiglio d’amministrazione di Poste italiane spa. Fabrizio Penna era stato collaboratore di Mario Landolfi, come caposegreteria del ministero delle Telecomunicazioni. Come sia arrivato nel consiglio d’amministrazione di Poste italiane trasporti non è un mistero: fu nominato da Mario nell’ultima settimana di gennaio 2005 e ottenne l’incarico nel giugno dello stesso anno. Nelle carte che hanno portato agli arresti domiciliari i Chianese, si leggono molte promesse di assunzione nelle poste, in cambio di voti. Il che rende meno difficile capire come mai una lettera arriva in ritardo, o perchè facciamo lunghe fila alla posta. Chissà la gioia dei lavoratori onesti delle poste che se lo guadagnano ogni giorno il pane. Nelle intercettazioni disposte dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, ora in possesso di left, Chianese a un certo punto si lamentano addirittura di essersi dedicati troppo a Landolfi: «’sta questione dell’Aifa (Accordo di inserimento formativo per l’assuzione ndr.) no, riflettendoci ieri, anche questo è un danno che ci ha fatto Mario (…) eh, perché alla fine nasce tutto dal fatto che noi dal mese di marzo, abbiamo trascurato tutto e’ ammo pensato a fa chello…perché se noi dal mese di marzo anziché ‘sta apresso a Mario c’avessimo seguito le cose nostre come abbiamo fatto, noi non è che aspettavamo che a dicembre veniva chilo a chiederce ‘e cart’ a noi (…) cioè se l’avessero liquidato prima, noi avremmo già i soldi in tasca e non correremmo il rischio di perdere tutto. Invece, ovviamente, avendo trascurato e avendo aspettato che veniva chillo da noi e avendolo fatto solo quando siamo stati messi alle strette e non quando lo avremmo fatto in una situazione diversa, è un altro danno che ci ha fatto Mario…». È una storia surreale quella dei Chianese, che facevano affari e truffavano lo Stato, forti delle connessioni politiche. A Mondragone prima c’erano i La Torre, poi i Frugnoli, poi piccoli gruppi criminali. Ora finalmente la magistratura e i carabinieri lavorano e c’è un “vuoto” criminale. Ma non è lo Stato a riempirlo. E comunque non i suoi pezzi migliori. È in tale assenza, che permetterebbe la rinascita di questa terra, che il gruppo di persone legate tra loro da vincoli di parentela, giocava con la politica e la cosa pubblica, appropriandosene.Neanche veri camorristi, ma personaggi qualunque che con arroganza indicibile derubavano la comunità. Falsificando bilanci, carte d’identità, libri contabili, libri matricole. Ne emerge una figura come quella del vicesindaco, che sembra passare tutto il suo tempo a falsificare, invece che a lavorare per il “bene comune”. E tutto per qualche centinaio di migliaia di euro. Ancora più inquietante forse, il fatto che nessuno reagisca nella società civile. È nota la vicenda di Cosimo Chianese, che telefona con il cellulare del ministero per “autoricaricare” i parenti. In un’altra intercettazione Cosimo Chianese e Renato Verrengia, avvocato esperto di sinistri, discutono di quanto dare a uno dei figuranti nei corsi di formazione fantasma: Renato Verrengia: «Va buò, senti mia sorella voleva sapere quanto deve dare di contributo a Trano».Raffaele Chianese: «Eh, almeno 500 euro ce l’addà dà».RV: «Lei aveva pensato a 50 euro».RC: «No, ahe, o’cazzo!... almeno 500!».Su tutto veglia il buon Mario Landolfi, che manda in crisi amministrativa il comune di Mondragone per un anno, dopo l’avviso di garanzia a Raffaele Chianese, per reinserirlo come assessore, anche sfasciando il centrodestra cittadino, nella giunta del sindaco di Mondragone Ugo Conte che cerca di opporsi. Ugo Conte, a sua volta indagato con Mario Landolfi per “concorso esterno in associazione camorristica, estorsione e corruzione di pubblico ufficiale, aggravate dalla finalità camorristica, e truffa ai danni dello Stato”, insieme a Giuseppe Valente, e i fratelli Orsi, quelli della spazzatura. Il sostituto procuratore della Dda di Napoli, Alessandro Milita, ha definito il contesto come: «Un patto scellerato fra camorra e politica, garanti a vicenda per la loro stessa sopravvivenza, che si autoalimentava con il sostegno di operazioni legate al settore dei rifiuti». Qualcuno si domanda dove sia il confine politica-camorra. La verità è che la politica non c’è mai stata. Eppure pochi sanno che Mario Landolfi, nel suo passato, è stato anche nel mirino dei clan. Il giovane Mario è cresciuto ai tempi della Dc, in un paese del Sud. Intelligente, onesto, disturbava come poteva il comune di Mondragone. In un paese del Sud gli onesti sono troppo pochi per mettersi a fare battaglie politiche di merito. Servono forze per una sola lotta: quella della legalità. E così Landolfi te lo ritrovavi anche come compagno di avventura. E finì sui giornali per un’alleanza ben strana: Verdi-Destra. Altri tempi, quelli in cui Landolfi non era simpatico al clan. Si opponeva. Poi tutto è cambiato, come a confermare che il potere al Sud deve essere sempre inquinato.Sostenere oggi che non si sapeva è assurdo. Come affermare di non sapere cosa facessero parenti e collaboratori. Alla fine di questa storia rimane solo questa terra ferita. E il sogno che qualcuno, finalmente, si dimetta. 18 gennaio 2008
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