Silvio Berlusconi e Cosa Nostra
Sei indagini archiviate a Palermo su richiesta della stessa Procura per scadenza dei termini massimi concessi per indagare. Ma, nella sentenza emessa l’11 dicembre 2004 dalla II sezione del Tribunale di Palermo a carico di dell’Utri (condannato a 9 anni per concorso esterno) e motivata il 5 luglio 2005, i giudici scrivono che il gruppo Berlusconi ha ricevuto finanziamenti “non trasparenti” a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. E ha versato “per diversi anni somme di denaro nelle casse di Cosa Nostra”. Dell’Utri infatti “anziché astenersi dal trattare con la mafia…, ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguenze, di mediare tra gli interessi di Cosa Nostra e gli interessi imprenditoriali di Berlusconi (un industriale, come si è visto, disposto a pagare pur di stare tranquillo )”. Quando poi, nel 1993, la Fininvest si tramutò in Forza Italia, il capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano “ottenne garanzie” che lo convinsero a “votare e far votare per Forza Italia”, con cui aveva “agganci” anche il boss stragista Leoluca Bagarella. Garanzie fornite da Marcello Dell’Utri, che ha avuto “ per un trentennio contatti diretti e personali” con un boss del calibro di Stefano Bontate e Mimmo Teresi, oltre al “fattore” Vittorio Mangano, assunto ad Arcore nel 1974 “pur conoscendone lo spessore delinquenziale, e anzi proprio per tale sua <<qualità>> con l’avallo compiaciuto di Bontate e Teresi”. Da tre decenni Dell’Utri svolge un’”attività di costante mediazione tra il sodalizio criminoso più pericoloso e sanguinario del mondo e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, in particolare la Fininvest”, nonché una “funzione di <<garanzia>> nei confronti di Berlusconi”. Nei “momenti di crisi tra Cosa Nostra e la Fininvest” Dell’Utri fa da mediatore, “ottenendo favori” dalla mafia e “promettendo appoggio politico e giudiziario”. Tutte condotte “pienamente e inconfutabilmente provate da fatti, testimonianze, intercettazioni”. I rapporti fra Dell’Utri e Cosa Nostra “sopravvivono alle stragi del 1992-93, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla “vendetta” di Cosa Nostra, e ciò nonostante il mutare della coscienza sociale di fronte al fenomeno mafioso nel suo complesso”. Il senatore berlusconiano è sempre “disponibile verso l’organizzazione mafiosa nel campo della politica, in un periodo in cui Cosa Nostra aveva dimostrato la sua efferatezza criminale con stragi gravissime, espressioni di un disegno eversivo contro lo Stato, e, inoltre quando la sua figura di uomo pubblico e le responsabilità connesse agli incarichi istituzionali assunti, avrebbero dovuto imporgli ancora maggiore accortezza e rigore morale”. Insomma, Dell’Utri ha continuato a “mafiare” anche dopo l’entrata in Parlamento nel ’96 e a “inquinare le prove” durante il suo processo. Fatti, non teoremi, secondo i giudici: la “pluralità delle sue attività ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa Nostra, cui è stata offerta l’opportunità, con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza”. Ed esistono “prove certe della compromissione mafiosa dell’imputato Dell’Utri anche relativamente alla sua stagione politica”. Sempre secondo i giudici, Forza Italia nasce nel ’93 da un’idea di Dell’Utri, il quale “non ha potuto negare” che ancora nel novembre ’93 incontrava Mangano a Milano, come risulta dalle sue agende, mentre era “in corso l’organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica”. Il perché, secondo i giudici, è semplice: Dell’Utri incontrava Mangano nel 1993-94 per promettere “aiuti concreti e importanti a Cosa Nostra in cambio del sostegno a Forza Italia”. Tant’è che ancora nel ’99, come risulta da intercettazioni, Cosa Nostra impone ai suoi uomini di votare Dell’Utri “per tirarlo fuori dai suoi guai giudiziari: i rappresentanti delle istituzioni “lo volevano fottere” a tutti i costi, ma non avrebbero più potuto fargli nulla se fosse andato al Parlamento Europeo”. Dunque fin dal ’94 “vi è prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia”.Quanto all’origine delle fortune di Berlusconi, che incamerò a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta centinaia di miliardi di lire di provenienza ignota, i sospetti della Procura sono condivisi dal Tribunale: “La scarsa trasparenza o l’anomalia di molte operazioni Fininvest negli anni 1975-84 non hanno trovato smentita dal consulente della difesa Dell’Utri; non è stato possibile risalire… all’origine, qualunque essa fosse, lecita od illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding Fininvest. E allora le <<indicazioni>> dei collaboranti e del Rapisarda [sul riciclaggio di denaro mafioso, nda] non possono ritenersi del tutto <<incompatibili>> con l’esito degli accertamenti svolti”. Poteva chiarire tutto Berlusconi. Ma quando il Tribunale si è recato a Palazzo Chigi per interrogarlo, nel 2002, il premier “si è avvalso della facoltà di non rendere interrogatorio” e così “si è lasciato sfuggire l’imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone, avrebbe potuto illustrare. Invece ha scelto il silenzio”.
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